sabato 10 marzo 2012

Il Presagio, la recensione

Regia: Richard Donner 
Cast: Gregory Eldred Peck, Lee Remick, David Warner, Billie Whitelaw, Martin Benson 
Durata: 1h 50m 
Anno: 1976 

Prima di dedicarsi ai vari Superman e Arma Letale, il regista Richard Donner ha lasciato un segno indelebile all’interno di quel filone cinematografico cosiddetto demoniaco con una pellicola che, seguendo quella strada aperta da L’Esorcista e Rosemary’s Baby (di cui parleremo prossimamente), ci ha ricordato che il Diavolo può anche non essere così brutto come lo si dipinge, ma questo non vuol dire che sia meno cattivo. 
Il film in questione è The Omen (in Italia Il Presagio), uscito nel 1976 e scritto da David Seltzer, autore anche del romanzo a cui questa storia si ispira. 


Al centro di questa vicenda il piccolo Damien (il giovane Harvey Stephens), adottato il 6 giugno alle ore 6:00 (quando si dice le coincidenze) dal diplomatico statunitense Robert Thorn (Gregory Peck), sconvolto per aver perso il figlioletto appena nato. Robert crescerà questo bambino con la moglie Kathie (Lee Remick), ma con il passare del tempo Damien comincerà a rivelarsi l’esatto contrario di quel dono dal cielo che tutti credevano. C’è qualcosa di molto inquietante legata alle origini di quel bambino, che continua ad emergere giorno dopo giorno. 

The Omen è una pellicola che vive principalmente di atmosfera. Il grande merito di Richard Donner, allora semisconosciuto, è stato infatti quello di aver creato una tensione più che altro psicologica e giocata non sulla violenza, ma su quello che le immagini sono in grado di suggerire. L’uso frequente dei primi piani per esempio, sia sul volto di Harvey Stephens che del resto del cast, è un espediente di stampo classico che all’interno di questa storia viene spesso usato per ottenere la giusta dose di tensione. A questo si uniscono le musiche scritte dal compositore Jerry Goldsmith (giustamente premiato con l’Oscar), in grado di sottolineare ogni momento rendendolo ancora più inquietante. 

Ci troviamo di fronte ad una pellicola che rappresenta ancora oggi un punto di riferimento e che in molti hanno cercato di imitare, caratterizzata da un finale che, sfruttando quell’ambiguità che ricorre più volte durante la narrazione, ci presenta uno dei sorrisi più innocenti e al tempo stesso diabolici della storia del cinema.

Pubblicato su ScreenWEEK

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