Regia: Andrea Caccia
Cast: Margherita Bassoli, Silvia Boffelli, Cosima Brillante, Rossana Brioschi, Isabella Colajanno, Barbara Colson, Carlos Cornejo, Dario Manzoni, Angela Porcelli, Salvatore Sauro, Salvatore Telese, Massimo Caccia, Andrea Caccia, Germana Rosina, Filippo Caccia
Durata: 1h 22m
Anno: 2010
Quello di Andrea Caccia è un nome che all’interno di quella piccola nicchia che accoglie il cosiddetto cinema indipendente italiano è riuscito a ritagliarsi un posto di tutto rispetto. Per il momento ha all’attivo un paio di lungometraggi nonfiction, entrambi interessanti e particolarmente ambiziosi. Con il primo, Vedozero, è riuscito ad offrirci uno spaccato di mondo, visto con gli occhi dei più giovani e filtrato attraverso l’obiettivo di un telefonino; con il secondo, forse ancora più ambizioso, ha cercato di analizzare una delle incognite più grandi dell’uomo: la vita o, per meglio dire, la morte, che “è esigente, richiede silenzio, pazienza, forza e meditazione. Una meditazione che a volte sconfina nella paura. Paura di svelarsi, di scoprirsi deboli, di chinarsi di fronte al destino”.
La vita al tempo della morte è un’opera molto interessante, forse meno teorica della precedente, ma sicuramente altrettanto sentita, se non di più. I tre atti che la compongono ci conducono lungo un percorso che sembra scandito lungo un arco che, ipoteticamente, potrebbe rappresentare il percorso di ognuno di noi. Lo scorrere delle stagioni nel primo, che ci mostra le persone – spesso lasciate fuori fuoco – che frequentano i laghi della Lavagnina; la consapevolezza del nostro essere “finiti” nel secondo, particolarmente toccante, all’interno del quale ascoltiamo le parole di chi, in un letto di ospedale o di una casa, attende il momento della dipartita; la perpetuazione della memoria nell’ultimo, incorniciato da un suggestivo bianco e nero, che vede il regista e il fratello intenti a ritrovare tracce di loro stessi (e non solo), mentre cercano di mettere ordine tra la miriade di oggetti accatastati lungo gli anni nel loro garage.
La vita al tempo della morte è un lungometraggio che parla direttamente con il pubblico e che è in grado di suscitare emozioni differenti in ognuno di noi. Quali siano stati o meno gli intenti di Andrea Caccia ha poca importanza, perché la sua pellicola, allo stesso modo delle tematiche che affronta, non può e non deve avere un senso universale. L’importante è che ci aiuti a riflettere e, da questo punto di vista, ci riesce benissimo. La si potrebbe addirittura definire “un’opera terapeutica”, senza paura di esagerare. Per il suo regista lo è stata di sicuro, perché, quindi, non dovrebbe esserlo anche per noi?
Cast: Margherita Bassoli, Silvia Boffelli, Cosima Brillante, Rossana Brioschi, Isabella Colajanno, Barbara Colson, Carlos Cornejo, Dario Manzoni, Angela Porcelli, Salvatore Sauro, Salvatore Telese, Massimo Caccia, Andrea Caccia, Germana Rosina, Filippo Caccia
Durata: 1h 22m
Anno: 2010
Quello di Andrea Caccia è un nome che all’interno di quella piccola nicchia che accoglie il cosiddetto cinema indipendente italiano è riuscito a ritagliarsi un posto di tutto rispetto. Per il momento ha all’attivo un paio di lungometraggi nonfiction, entrambi interessanti e particolarmente ambiziosi. Con il primo, Vedozero, è riuscito ad offrirci uno spaccato di mondo, visto con gli occhi dei più giovani e filtrato attraverso l’obiettivo di un telefonino; con il secondo, forse ancora più ambizioso, ha cercato di analizzare una delle incognite più grandi dell’uomo: la vita o, per meglio dire, la morte, che “è esigente, richiede silenzio, pazienza, forza e meditazione. Una meditazione che a volte sconfina nella paura. Paura di svelarsi, di scoprirsi deboli, di chinarsi di fronte al destino”.
La vita al tempo della morte è un’opera molto interessante, forse meno teorica della precedente, ma sicuramente altrettanto sentita, se non di più. I tre atti che la compongono ci conducono lungo un percorso che sembra scandito lungo un arco che, ipoteticamente, potrebbe rappresentare il percorso di ognuno di noi. Lo scorrere delle stagioni nel primo, che ci mostra le persone – spesso lasciate fuori fuoco – che frequentano i laghi della Lavagnina; la consapevolezza del nostro essere “finiti” nel secondo, particolarmente toccante, all’interno del quale ascoltiamo le parole di chi, in un letto di ospedale o di una casa, attende il momento della dipartita; la perpetuazione della memoria nell’ultimo, incorniciato da un suggestivo bianco e nero, che vede il regista e il fratello intenti a ritrovare tracce di loro stessi (e non solo), mentre cercano di mettere ordine tra la miriade di oggetti accatastati lungo gli anni nel loro garage.
La vita al tempo della morte è un lungometraggio che parla direttamente con il pubblico e che è in grado di suscitare emozioni differenti in ognuno di noi. Quali siano stati o meno gli intenti di Andrea Caccia ha poca importanza, perché la sua pellicola, allo stesso modo delle tematiche che affronta, non può e non deve avere un senso universale. L’importante è che ci aiuti a riflettere e, da questo punto di vista, ci riesce benissimo. La si potrebbe addirittura definire “un’opera terapeutica”, senza paura di esagerare. Per il suo regista lo è stata di sicuro, perché, quindi, non dovrebbe esserlo anche per noi?
Pubblicato su ScreenWEEK
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