Quando la scienza oltrepassa i confini dell’etica i risultati possono essere disastrosi. Lo sanno bene Elsa e Clive (Adrien Brody e Sarah Polley), una coppia di giovani promesse della scienza i cui studi riguardano la genetica. Durante le loro ricerche i due hanno manipolato il DNA di diverse specie animali, creando nuove forme di vita. Il successo dei loro esperimenti li spinge a mixare il DNA animale con quello umano. Il risultato è un’affascinate creatura, battezzata da loro Dren, che dimostra incredibili capacità di apprendimento e di sviluppo. Ma la situazione sfuggirà presto di mano.
Durante la visione di Splice il principale interrogativo che salta subito in mente è: cosa sarebbe successo se una storia del genere fosse capitata nelle mani di David Cronenberg, il cui amore per le mutazioni genetiche e il rapporto (mal)sano tra scienza e etica hanno rappresentato un vero e proprio leitmotiv all’interno della sua filmografia? Molto probabilmente ci saremo trovati di fronte all’ennesimo capolavoro, destinato ad affiancarsi a titoli di culto come Il Demone sotto la pelle, Brood e La Mosca.
Purtroppo la pellicola diretta da Vincenzo Natali presenta solo alcune tematiche particolarmente care al regista canadese, ma nulla di più. Intendiamoci, non possiamo certo dire di trovarci di fronte ad un brutto film. Nonostante tiri in ballo dilemmi morali fin troppo abusati dal cinema e dalla letteratura, che si potrebbero riassumere nel mito di Frankenstein creato da Mary Shelley quasi duecento anni fa, Splice presenta una trama attuale e indubbiamente affascinante, che purtroppo si perde lungo la sua evoluzione.
Dopo un eccellente incipit e un altrettanto promettente sviluppo, la storia subisce infatti una parabola discendente, che la trascina verso un secondo tempo che in più punti raggiunge il ridicolo involontario, nonostante gli spunti siano particolarmente interessanti. Adrien Brody colto da pruriti in bilico tra scienza e passione (ed è qui che più si rimpiange il caro David Cronenberg), perde inspiegabilmente il controllo. Una svolta repentina che investe a livello caratteriale anche la sua collega e compagna Sarah Polley, per non parlare di Dren, che ci regala un twist finale talmente affrettato da lasciare sconcertati. Un vero peccato perché anche in questo caso – come era successo nel 1997 con Cube – Vincenzo Natali avrebbe potuto firmare un piccolo cult movie. Quello che rimane è invece un prodotto senza infamia e senza lode, destinato ad essere presto dimenticato.
Durante la visione di Splice il principale interrogativo che salta subito in mente è: cosa sarebbe successo se una storia del genere fosse capitata nelle mani di David Cronenberg, il cui amore per le mutazioni genetiche e il rapporto (mal)sano tra scienza e etica hanno rappresentato un vero e proprio leitmotiv all’interno della sua filmografia? Molto probabilmente ci saremo trovati di fronte all’ennesimo capolavoro, destinato ad affiancarsi a titoli di culto come Il Demone sotto la pelle, Brood e La Mosca.
Purtroppo la pellicola diretta da Vincenzo Natali presenta solo alcune tematiche particolarmente care al regista canadese, ma nulla di più. Intendiamoci, non possiamo certo dire di trovarci di fronte ad un brutto film. Nonostante tiri in ballo dilemmi morali fin troppo abusati dal cinema e dalla letteratura, che si potrebbero riassumere nel mito di Frankenstein creato da Mary Shelley quasi duecento anni fa, Splice presenta una trama attuale e indubbiamente affascinante, che purtroppo si perde lungo la sua evoluzione.
Dopo un eccellente incipit e un altrettanto promettente sviluppo, la storia subisce infatti una parabola discendente, che la trascina verso un secondo tempo che in più punti raggiunge il ridicolo involontario, nonostante gli spunti siano particolarmente interessanti. Adrien Brody colto da pruriti in bilico tra scienza e passione (ed è qui che più si rimpiange il caro David Cronenberg), perde inspiegabilmente il controllo. Una svolta repentina che investe a livello caratteriale anche la sua collega e compagna Sarah Polley, per non parlare di Dren, che ci regala un twist finale talmente affrettato da lasciare sconcertati. Un vero peccato perché anche in questo caso – come era successo nel 1997 con Cube – Vincenzo Natali avrebbe potuto firmare un piccolo cult movie. Quello che rimane è invece un prodotto senza infamia e senza lode, destinato ad essere presto dimenticato.
Pubblicato su ScreenWEEK
1 commento:
L'argomento è molto interessante. Ed è proprio vero: una storia simile sarebbe stata l'ideale per Cronenberg. Spero di poterlo vedere.
Posta un commento