sabato 16 febbraio 2013

Quattro notti di uno straniero, la recensione

Regia: Fabrizio Ferraro
Cast: Caterina Gueli Rojo, Marco Teti
Durata: 1h 30m
Anno: 2013

Quello tra forma e sostanza è un connubio fondamentale, soprattutto nel mondo del cinema. Si tratta di due componenti che in un film devono essere dosate sapientemente, facendo in modo che siano in grado di compensarsi senza cercare di prevalere l’una sull’altra. Quando è la prima ad avere la meglio il risultato porta inevitabilmente a quella ridondanza tipica dello sterile esercizio di stile.

Con Penultimo paesaggio Fabrizio Ferraro era già andato incontro a questo rischio, confezionando un’opera tanto suggestiva dal punto di vista visivo quanto distaccata e fredda. Quattro notti di uno straniero, secondo capitolo di un dittico ambientato in Francia, prosegue quella strada, andando oltre e portando all’esasperazione quell’autorialità compiaciuta che aveva contribuito in maniera determinante al quasi fallimento della precedente pellicola.

Anche in questo caso abbiamo un uomo e una donna, protagonisti di una “storia d’amore” che trae la sua ispirazione dalle Notti Bianche di Dostoevskij. L’incomunicabilità e l’im-possibile contatto tornano a farla da padrone all’interno di un’opera avvolta da un suggestivo bianco e nero e caratterizzata da momenti di silenzio dilatati all’inverosimile. Seguiamo i protagonisti Marco Teti e Caterina Gueli Rojo mentre camminano per le strade di una Parigi quasi muta, il più delle volte inquadrati di spalle, pedinati da una telecamera che sembra voler mantenere le distanze da loro.

Molto probabilmente quella lontananza tra spettatore e storia, che si nota a partire dalla prima inquadratura, è voluta e da un certo punto di vista si potrebbe anche definire coerente con lo spirito intero di quest’opera e del dittico di cui fa parte. Resta il fatto che una scelta simile non aiuta questa pellicola, in alcun modo.

Pubblicato su ScreenWEEK

Nessun commento:

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...