sabato 16 febbraio 2013

Bianco, la recensione

Regia: Roberto Di Vito
Cast: Igor Mattei, Giovanni Piccirillo, Massimiliano Fedeli, Claudia Borioni, Rita Carlini, Monika Malinowska, Lucia Nicolini, Claudio Cipriani, Cosimo Blanda, Paolo Franceschini
Durata: 1h 14m
Anno: 2011

Al contrario di quello che succede oltreoceano, in Italia le produzioni indipendenti sono, per la maggior parte, anche invisibili. Pubblicità pressoché nulla, qualche passaggio all’interno di vari festival (anche internazionali) e qualche timido passaparola. Difficile per loro emergere, soprattutto quando si parla di titoli che vanno al di là di quegli standard condivisi, sui quali il nostro cinema sembra essersi comodamente adagiato da un po’ di tempo a questa parte.


Bianco, film del 2011 scritto, diretto, prodotto e musicato da Roberto Di Vito si inserisce perfettamente all’interno di questo contesto. Indipendente in tutto e per tutto, anche (e soprattutto) nella forma, l’opera diretta da questo cineasta – che sul curriculum può vantare esperienze con nomi del calibro di Nanni Moretti, Dario Argento e Pupi Avati – racconta la storia di un uomo (interpretato da Igor Mattei) che, senza un apparente motivo, si risveglia un giorno legato e imbavagliato, all’interno di una stanza bianca, completamente avvolto da quel colore che, come, come un limbo, lo costringe ad un esame di coscienza forzato. Il suo nome è Luigi Mariotti e la sua vita non è certo quella che si può definire una sequela di successi. Due misteriose figure l’hanno rapito, molto probabilmente scambiandolo per un altro.

Azione praticamente nulla, compensata da una serie di suggestioni visive che inseriscono questa pellicola nel filone del cosiddetto “cinema metafisico”. Ciononostante Bianco rimane un film profondamente radicato nella realtà e nel quotidiano e proprio per questo concreto. Il doppio dramma vissuto dal protagonista (l’essere rapito e il ritrovarsi solo con sé stesso) è stato rappresentato in maniera molto efficace, nonostante in alcuni punti risulti troppo didascalico e forzato.

Non ci troviamo di fronte ad un’opera del tutto riuscita, questo perché, come la maggior parte dei titoli indipendenti italiani, risente della sua stessa essenza. Ma è altrettanto innegabile che l’introspezione presente in questa vicenda, unico vero tema portante, riesce in certi momenti ad avere il meglio su tutto il resto. Il pensiero una volta giunti alla fine del film, va soprattutto al suo creatore. Cosa sarebbe riuscito a costruire avvalendosi di un budget maggiore? In attesa di una risposta (si spera futura) il giudizio rimane sospeso, avvolto in un limbo bianco proprio come il titolo.

Pubblicato su ScreenWEEK

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