sabato 16 febbraio 2013

Flight, la recensione

Regia: Robert Zemeckis
Cast: Denzel Washington, Kelly Reilly, Don Cheadle, Bruce Greenwood, Brian Geraghty, John Goodman, Melissa Leo, James Badge Dale, Nadine Velazquez, Tamara Tunie
Durata: 2h 19m
Anno: 2012

Dopo delle più o meno riuscite incursioni nel mondo dell’animazione digitale, Robert Zemeckis torna dietro la macchina da presa per dirigere un film classico, con attori in carne ed ossa e con una grande storia da raccontare. Sono passati più di dieci da Cast Away, ma le cose non sembrano poi essere cambiate molto: oggi come allora, infatti, il motore scatenante della vicenda è un disastro aereo, che costringe i protagonisti a confrontarsi con i loro stessi fantasmi, compiendo un viaggio interiore che li conduce verso un profondo cambiamento. In tutto questo aleggia la solitudine, imposta nel caso di Tom Hanks e cercata più o meno consapevolmente all’interno di quest’avventura.

Flight è la storia di Whip Whitaker, pilota di aerei di linea magistralmente interpretato da Denzel Washington, che per questo ruolo ha ottenuto una più che meritata candidatura all’Oscar. Whitaker non è certo uno stinco di santo, ha un matrimonio fallito alle spalle e più di uno scheletro nell’armadio, vista la sua dedizione nei confronti di parecchi vizi, tra cui l’alcol. Una figura non certo positiva che però un giorno riesce a compiere un vero e proprio miracolo, riuscendo a sventare un disastro aereo che avrebbe comportato la morte di un centinaio di persone. La stampa, con parere unanime, lo proclama per direttissima eroe, ma durante le indagini riguardanti la tragedia cominciano ad affiorare alcuni dettagli sulla sua condotta lavorativa decisamente poco consoni. Il giorno in cui è riuscito ad evitare il disastro Whitaker era reduce da una notte di bagordi ed era sotto l’effetto di alcol e sostanze stupefacenti. Ha commesso sul serio un gesto eroico ma non era nelle condizioni per pilotare un aereo.

Prima o poi dobbiamo tutti fare i conti con le nostre azioni. Conscio di questo principio Robert Zemeckis ha confezionato una pellicola che si poggia esclusivamente sulle spalle di Denzel Washington. Un peso che l’attore riesce a sostenere in maniera fantastica, enfatizzando ogni stato d’animo attraverso la sola mimica facciale ed esprimendo alla perfezione il crollo emotivo di una persona che, pur consapevole delle proprie azioni sbagliate, non riesce a farne a meno. Attorno a lui una serie di comprimari decisamente calati nella parte, tra cui spicca, per ovvie ragioni, Kelly Reilly, nel ruolo di una donna sull’orlo del baratro proprio come il protagonista, ma decisa ad uscirne e, finché possibile, a portare il povero Whitaker con sé.

Il tutto diretto sapientemente da un regista che, sebbene troppo spesso sottovaluto, ha sempre dimostrato di essere all’altezza delle (grandi) storie che gli sono state affidate. La sequenza iniziale riguardante il disastro aereo è a dir poco magnifica e si presenta come l’adrenalinico preludio di una storia votata all’introspezione. Approcciandosi come un semplice narratore super partes, Zemeckis ha accantonato ogni forma di giudizio, mettendo in scena la vita di un perdente diventato eroe suo malgrado e sottolineando sia i momenti drammatici che quelli più spensierati. Su tutto aleggia una sorta di provvidenza divina, che, come fa giustamente notare qualcuno nella prima parte del film, non interviene nelle nostre vite a caso, ma con uno scopo ben preciso.

Pubblicato su ScreenWEEK

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