sabato 16 febbraio 2013

Intervista a Susanna Nicchiarelli, regista di Cosmonauta e La Scoperta Dell'Alba

Mi stavo giusto chiedendo da quanto tempo non pubblicavo sulle pagine di Cinedelia una bella intervista. In realtà ne ho fatte altre nel corso di questi mesi, tra cui una a Filippo Timi durante il Torino Film Festival (potete leggerla su ScreenWEEK). La più recente riguarda Susanna Nicchiarelli, regista di Cosmonauta e La Scoperta Dell'Alba.

Ho realizzato quest’intervista per conto di I THINK Magazine e devo dire che è stato un’incredibile piacere poter parlare con  questa regista. Durante questa chiacchierata ho potuto conoscerla meglio sia dal punto di vista professionale che umano. Piacevoli scoperte in entrambi i casi. 


Susanna Nicchiarelli è infatti la persona che ti aspetti che sia dopo aver visto le sue pellicole: una donna dotata di una profonda sensibilità, realmente interessata ad avere un contatto con il suo pubblico e motivata da una grandissima passione per tutto ciò che ruota attorno alla cosiddetta “settima arte”.

Il “ricordo” e la “memoria” sono dei temi che ricorrono spesso nelle tue opere. Li abbiamo trovati in Cosmonauta e intervengono anche ne La Scoperta Dell’Alba.

In realtà quella del “ricordo” è proprio una mia ossessione, come anche quella della propria storia, della propria storia di famiglia e di tutto quello che costruisce la nostra identità. Il passato costruisce la nostra identità, per questo ho realizzato film come Cosmonauta e La Scoperta Dell’Alba. Il primo era tutto ambientato negli anni ’60, il secondo ha una doppia ambientazione, dato che vediamo la protagonista sia nei giorni nostri che da bambina. Lei parte proprio dal passato per costruire la sua identità di donna oggi.

Quanto di te c’è nelle storie che metti in scena? Guardando la giovane protagonista di Cosmonauta, ad esempio, non si può fare a meno di pensare che sia una tua proiezione…

Penso che ogni regista metta moltissimo di sé in ogni protagonista. C’è molto di me nei personaggi che interpreto. Credo sia una cosa normale. C’è sempre un pezzo di te in ogni personaggio del film. Ai tempi di Cosmonauta tutti mi dicevano “Ma tu vieni da una famiglia di sinistra?”. In realtà no. Ma sicuramente c’era molto di me nella scelta di raccontare quell’immaginario. Io avevo quattordici anni quando è caduto il muro di Berlino, ho vissuto la fine del comunismo e mi piaceva l’idea di raccontare un momento apparentemente glorioso di quel periodo, che è stato quello dei primi anni della corsa allo spazio. Per quanto riguarda La Scoperta Dell’Alba, ovviamente mio padre non è stato rapito dalle Brigate Rosse, ma tutti quanti abbiamo un momento della nostra infanzia al quale torniamo ossessivamente. Il personaggio di Margherita Buy ha questo rapporto con il passato appunto perché c’è qualcosa di irrisolto nella sua infanzia. Una cosa che abbiamo tutti, per questo è molto semplice identificarsi con lei.

Si tratta quindi di una forte introspezione psicologica?

In realtà il film ricorre ad uno stratagemma fantastico, quindi non lo definirei introspettivo. Attraverso questo telefono il personaggio interpretato da Margherita viaggia nel tempo. Il suo è un percorso di formazione, di crescita, di cura, quindi c’è sicuramente la possibilità di farne delle letture psicanalitiche, ma del resto in tutti i film di fantascienza o fantastici c’è sempre un senso più profondo, che è quello di una crescita personale, di un percorso. La psicanalisi è proprio questo: un percorso di crescita. Quindi sì, è possibile trovare delle analogie ma non era quello che avevo in mente durante la lavorazione. Ora mi rendo conto che è possibile anche leggerlo in questo modo.

Soffermandoci sulla componente fantastica di questa storia, la trama presenta molti punti di analogia con Spiacente, È Il Numero Giusto, un racconto di Stephen King presente nell’antologia Incubi E Deliri. Ti sei anche ispirata a questo racconto per il tuo film?

No. In realtà non conoscevo questo racconto, nonostante sia una grande lettrice di Stephen King. Ovviamente ho fatto molte ricerche scrivendo la sceneggiatura del film, e conoscevo un episodio di Ai Confini Della Realtà, la serie televisiva degli anni ’80, in cui c’è un giovanissimo Bruce Willis che chiama se stesso mezzora dopo. Conosco il film Frequency, all’interno del quale il protagonista via radio riesce a parlare con suo padre, ma non conoscevo questo racconto. Il motivo per cui ho voluto fare un film da questo romanzo risiede proprio nei numerosi punti di contatto con Ai Confini Della Realtà e con tutto quell’immaginario fantastico. Credo che se c’è una cosa che può fare il cinema italiano, sofferente da tanti punti di vista in questo momento, è proprio raccontare la nostra identità, attraverso linguaggi che appartengono ad un cinema più popolare come quello americano. Nel libro c’erano entrambe queste componenti, un linguaggio da cinema americano applicato alla storia di una famiglia italiana. Con Cosmonauta avevo fatto la stessa cosa, prendendo come punto di riferimento Grease. In questo caso i miei  riferimenti sono stati titoli come E.T. o Incontri Ravvicinati Del Terzo Tipo.

Parliamo della situazione del cinema italiano, che hai appena citato. Un po’ di tempo fa ho avuto il piacere di intervistare Sergio Rubini, che recita in entrambe le tue pellicole. Durante questa chiacchierata si è parlato, usando termini non proprio positivi, della situazione del cinema italiano odierno. Qual è la tua opinione a proposito?

Sicuramente c’è una situazione di grande difficoltà. In generale le cinematografie europee si trovano a dover fare i conti con un cinema molto potente come quello americano e quindi hanno bisogno sicuramente di un aiuto economico e di una politica di protezione dei prodotti nazionali, perché vanno salvaguardati. Quando si parla di cinema italiano non si parla solo di registi, si parla di tante persone che lavorano al suo interno. È un settore grosso di gente, artigiani, scenografi, musicisti, montatori. Un settore grande di lavoratori specializzati, che vanta una grande tradizione e che ha bisogno di un aiuto economico da parte dello stato per continuare ad esistere. Vanno aiutati gli stessi cinema, le sale cittadine continuano a chiudere, mentre si affermano i multisala, i multiplex, dove molto spesso il cinema italiano non trova un suo spazio. Bisogna offrire alla gente una maggiore possibilità per vedere film italiani. Quest’anno sono usciti molti titoli interessanti, che però hanno avuto diffusioni molto piccole e molto brevi. Per emergere abbiamo bisogno di un po’ più d’aiuto.

Sei sia regista che attrice. C’è uno di questi ruoli che ti pace di più o li metti allo stesso livello?

Li metto allo stesso livello, perché fanno parte di tutto il lavoro che faccio su un film. Recitare nei film rappresenta per me un modo per lavorarci dall’interno, sui personaggi, sugli attori, su me stessa.

Puoi parlarci dei tuoi progetti futuri? Hai già in mente qualcosa? Proseguirai la strada seguita con le tue precedenti pellicole?

Sto scrivendo il mio prossimo progetto e questa volta ho deciso di seguire un’impostazione da commedia. Mi piacerebbe molto realizzare una commedia sentimentale. Sicuramente ritorneranno gran parte di quei temi che mi stanno a cuore, quindi sono sicura che in qualche modo somiglierà ai due film precedenti. Si cambia molto ogni volta che si realizza un lungometraggio. Hai delle reazioni, vedi il riscontro del pubblico quando sei in giro per presentarlo. Queste esperienze ti cambiano.

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