sabato 3 novembre 2012

Le migliori cose del mondo, la recensione

Regia: Laís Bodanzky
Cast: Francisco Miguez, Caio Blat, Gabriela Rocha, Filipe Kartalian Ayrosa Galvão (Fiuk), Denise Fraga, José Carlos Machado
Durata: 1h 44m
Anno: 2010

Mano (Francisco Miguez) è un ragazzo di quindici anni e come tutti i suoi coetanei sta vivendo quella difficile fase della vita conosciuta con il nome di adolescenza. Vuole imparare a suonare la chitarra, è innamorato di una ragazza che frequenta la sua stessa scuola e si diverte a fare con gli amici quelle cose immature tipiche della sua età. Una serie di avvenimenti lo costringeranno a confrontarsi con diverse realtà, vivendo in prima persona situazioni che lo porteranno ad una maturazione interiore.



Direttamente dal Brasile, ecco che arriva una storia di formazione giovanile che, sia ringraziato il cielo, prende le distanze dalle storie preconfezionate “alla Moccia”, prediligendo le atmosfere di vecchi cult adolescenziali come Il Tempo delle Mele e ricreando così un effetto nostalgia – dovuto anche ad una theme song come Something dei Beatles – in grado di avere il suo impatto sui più grandi e, si spera, anche sulle cosiddette nuove generazioni.

Ispirato ad una collana di libri per ragazzi e da una serie di colloqui effettuati in alcuni istituti di San Paolo, Le migliori cose del mondo pone al suo centro la storia di un giovane protagonista, costretto a confrontarsi con una serie di situazioni che, per forza di cose, lo portano a quella maturazione interiore che costituisce il tassello fondamentale per il passaggio all’età adulta. Un’opera per certi versi didascalica, che manca di in alcuni punti di spontaneità, ma che riesce comunque a mantenere una freschezza in grado di allontanarla da tutti quei cineromanzi rosa a misura di teenager a cui il cinema contemporaneo (soprattutto italiano) ci ha abituati.

Da questo punto di vista non si può certo fare a meno di notare più di una forzatura a livello di trama, a tal punto che certe situazioni (come l’omosessualità, la discriminazione, il divorzio, la depressione, l’ossessiva presenza del web nella società contemporanea o il semplice e immancabile conflitto tra genitori e figli, niente manca all’interno di questa pellicola) sembra che siano state messe lì a tutti i costi, proprio per “affrontare il discorso”. Ma è anche vero che è impossibile non riscontrare un genuino amore nel modo con cui queste tematiche sono state affrontate, in grado di mettere da parte ogni possibile difetto.

Nonostante una sorta di immaturità congenita, peraltro in tema con i suoi protagonisti, il film diretto da Laís Bodanzky riesce a lasciare una piacevole sensazione al termine della sua visione e risulta praticamente impossibile parlarne male.
Pubblicato su ScreenWEEK

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