sabato 3 dicembre 2011

La Cosa, la recensione

Regia: Matthijs van Heijningen Jr. 
Cast: Mary Elizabeth Winstead, Joel Edgerton, Eric Christian Olsen, Stig Henrik Hoff, Trond Espen Seim, Jonathan Lloyd Walker, Adewale Akinnuoye-Agbaje, Ulrich Thomsen 
Durata: 1h 43m 
Anno: 2011 

Siamo nel 1982. La giovane paleontologa Kate Lloyd (Mary Elizabeth Winstead) viene contatta dal Dr. Sander Halvorson (Ulrich Thomsen). A quanto pare è stata fatta una scoperta rivoluzionaria tra i ghiacci dell’Antartide e l’uomo vorrebbe che Kate si unisse al suo gruppo di ricerca. Una volta arrivata sul luogo la donna si ritroverà a fare i conti con l’inimmaginabile. Sepolta tra quelle nevi c’è infatti qualcosa che non è di questo mondo. Talmente affascinante quanto pericolosa e letale. 


Alzi la mano chi, cresciuto negli anni ’80 a pane e horror, non ha storto il naso una volta appreso che in quel di Hollywood si fosse deciso di relizzare un remake de La Cosa, capolavoro del 1982 diretto da quel genio (troppo spesso incompreso) di John Carpenter. Il senso di disapprovazione nei confronti della (quasi) sicura profanazione di quello che, a conti fatti, è un vero e proprio cult movie è aumentato nel momento in cui i produttori hanno deciso di fare un precisazione riguardo questo progetto: niente remake ma un bel prequel. Di quelli decisamente non richiesti. 

È così, dunque, che nasce questa pellicola dal titolo omonimo, diretta dal quasi esordiente Matthijs van Heijningen Jr. e con protagonisti Mary Elizabeth Winstead e Joel Edgerton. 
Mettiamo subito in chiaro una cosa: anche se da più parti si continua ad usare la parola prequel, La Cosa è un remake a tutti gli effetti. Non basta certamente aggiungere qualche presenza femminile e cambiare leggermente le carte in tavola per dichiararsi lontani dall’opera di origine. E risulta ancora più difficile da credere quando si scelgono protagonisti che in tutto e per tutto ricordano fisicamente quelli dell’originale, come ad esempio Joel Edgerton, che sembra essere uscito da un qualsiasi cosplay dell’ultima ora. 
Cerchiamo però di analizzare il tutto “razionalmente” – magari trovando un’ulteriore difesa nei sui confronti – e parliamo di omaggio. 

Ma cos’è un omaggio? È la sterile copia, senza un briciolo di inventiva, di una pellicola riuscita? Perché in fin dei conti è di questo che stiamo parlando. Non si tratta del fatto che si sia deciso di profanare un cult movie, perché su questo si potrebbe anche sorvolare (la stessa pellicola di Carpenter è un infatti un remake) se il risultato finale fosse stato perlomeno decente. All’interno del film diretto dall’olandese Matthijs van Heijningen Jr. ogni cosa sembra messa lì con noncuranza, sicura di vincere perché, tanto, l’aveva già fatto in passato. 
Il risultato è la fotocopia sbiadita di un capolavoro, in grado di fallire sotto ogni punto di vista. Azzerata la tensione, magistralmente creata da Carpenter attraverso un gioco del sospetto che ricalca i migliori racconti gialli. Eliminata del tutto la componente western tanto cara al regista americano e – incredibile dictu – pessimi anche gli affetti speciali, che scimmiottano nel peggiore dei modi quelli creati nel 1982 da Rob Bottin, offrendoci uno spettacolo all’insegna della più deludente grafica digitale. 

Il tutto culmina in un finale tanto maestoso (dal punto di vista visivo) quanto insulso e fastidioso, che cerca inutilmente di fare la differenza con l’inarrivabile prototipo, dimostrando solo quanto tutto questo fosse in realtà non richiesto. Ma su questo non c’erano dubbi.

Pubblicato su ScreenWEEK

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