Da un po’ di tempo a questa parte sembra che vada particolarmente di moda il – cercando di definirlo con un nome preciso – “thriller solitario”. Si tratta di pellicole che si basano sull’impossibilità d’azione (che sia concreta o solo apparente) e che vedono i loro protagonisti confrontarsi principalmente con loro stessi. Una sorta di terrore psicologico che accomuna alcuni titoli come Buried o il più recente 127 Ore e a cui si può benissimo accostare questo Frozen.
Scritto e diretto da Adam Green, da molti considerato una delle nuove promesse del cinema di genere americano (suo il godibilissimo Hatchet, riuscito omaggio al cinema horror si stampo slasher), questo film racconta la storia di tre studenti universitari (Emma Bell, Kevin Zegers e Shawn Ashmore), che decidono di trascorrere il fine settimana facendo snowboard sulle innevate montagne del Massachusetts. Giunta la sera il trio decide di fare un’ultima discesa, che in realtà non avverrà mai. I poverini infatti si ritroveranno bloccati sulla seggiovia, sospesi nel vuoto ed esposti al freddo e al gelo. Contando che è domenica e che gli impianti riapriranno solo il venerdì successivo, risulta quasi riduttivo definire la situazione come tragica. I tre faranno di tutto per sopravvivere, ma non sarà di certo facile.
Arrivati a questo punto è meglio non aggiungere altro sulla tramo di questo film, la cui riuscita è inversamente proporzionale alla conoscenza della storia. Con questo non si vuole decisamente dire che quella diretta da Adam Green sia una pellicola poco riuscita o basata esclusivamente sul cosiddetto colpo di scena. Frozen è un film che funziona e che unisce alla linearità narrativa la giusta dose di tensione. Niente per cui gridare al miracolo, sia chiaro, ma se la domanda che vi interessa è “riesce questo film a mettere i brividi?”, la risposta è indubbiamente “sì”. E non è decisamente il clima polare l’unica cosa in grado di raggelare il sangue, ma la storia, che si avvale degli elementi tipici del genere (cosa che il regista ha già dimostrato in passato di conoscere) e che crea un clima di tensione in grado di crescere di minuto in minuto.
Il risultato è un film fondamentalmente classico, con una prima parte – fortunatamente breve – il cui unico scopo è introdurre i protagonisti quanto basta per creare quel minimo di empatia utile al racconto. La restante ora la si passa bloccati sulla poltrona a rabbrividire, noi come loro.
Scritto e diretto da Adam Green, da molti considerato una delle nuove promesse del cinema di genere americano (suo il godibilissimo Hatchet, riuscito omaggio al cinema horror si stampo slasher), questo film racconta la storia di tre studenti universitari (Emma Bell, Kevin Zegers e Shawn Ashmore), che decidono di trascorrere il fine settimana facendo snowboard sulle innevate montagne del Massachusetts. Giunta la sera il trio decide di fare un’ultima discesa, che in realtà non avverrà mai. I poverini infatti si ritroveranno bloccati sulla seggiovia, sospesi nel vuoto ed esposti al freddo e al gelo. Contando che è domenica e che gli impianti riapriranno solo il venerdì successivo, risulta quasi riduttivo definire la situazione come tragica. I tre faranno di tutto per sopravvivere, ma non sarà di certo facile.
Arrivati a questo punto è meglio non aggiungere altro sulla tramo di questo film, la cui riuscita è inversamente proporzionale alla conoscenza della storia. Con questo non si vuole decisamente dire che quella diretta da Adam Green sia una pellicola poco riuscita o basata esclusivamente sul cosiddetto colpo di scena. Frozen è un film che funziona e che unisce alla linearità narrativa la giusta dose di tensione. Niente per cui gridare al miracolo, sia chiaro, ma se la domanda che vi interessa è “riesce questo film a mettere i brividi?”, la risposta è indubbiamente “sì”. E non è decisamente il clima polare l’unica cosa in grado di raggelare il sangue, ma la storia, che si avvale degli elementi tipici del genere (cosa che il regista ha già dimostrato in passato di conoscere) e che crea un clima di tensione in grado di crescere di minuto in minuto.
Il risultato è un film fondamentalmente classico, con una prima parte – fortunatamente breve – il cui unico scopo è introdurre i protagonisti quanto basta per creare quel minimo di empatia utile al racconto. La restante ora la si passa bloccati sulla poltrona a rabbrividire, noi come loro.
Pubblicato su ScreenWEEK
7 commenti:
Tensione e angoscia la fanno da padrone escludendo ovviamente l'incipit che per me poteva essere anche più breve volendo. Detto questo mi è piaciuto parecchio.
Ale55andra
Vedremo se è meglio di 127 ore...Senti ma tu ai commenti non rispondi? Ti chiedevo di un film poco tempo fa...vabbè...invece non puoi perderti Tarzan degli Arabi...lo conosci? Vieni sul mio muletto a scoprire sto pazzo...
@ Ale55andra: Però dai, l'incipit dura 15 minuti, poteva andare peggio. Ci sono film che sono tutto incipit... ;)
@ Emmeggì: Purtroppo sono stato un po' assente in questi giorni...
Forse l'introduzione è un po' troppo lunga, ma il film gela davvero, hai ragione. E' una mia impressione - non sono un gran conoscitore dell'horror - o ultimamente il genere sta sempre più abbandonando le mete soprannaturali per scoperchiare paure e situazioni ben più possibiliste?
E' una cosa che ho notato anch'io... soprattutto il fatto che si tenda a mettere al centro di queste storie persone che, in un modo o nell'eltro, devono confrontarsi con se stesse. Potrebbe essere un'ulteriore evoluzione del torture porn alla Saw. Lì è qualcun altro, in questo caso l'enigmista, a metterti di fronte a te stesso, mentre in questi film il semplice caso...
Forse c'è una tendenza a trasportare tutto su un piano più materiale e palpabile, paure e parametri di sopravvivenza compresi?
Beh sì, decisamente sì. Una sorta di terrore "più vicino"...
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