Racchiudere un film come Cielo senza Terra all’interno di un genere ben preciso risulta molto difficile. Si tratta di un documentario, che mostra il viaggio in montagna di un padre (il regista Giovanni Maderna) e di suo figlio di otto anni. Il loro percorso, la lori vita a stretto contatto con la natura, momenti di complicità e dialogo. Detto così si potrebbe immaginare qualcosa di non troppo distante dai filmini che ognuno di noi fa durante le vacanze, ma questo rappresenta solo lo strato più superficiale di un’opera che, nonostante uno spunto “semplicissimo”, riesce sul serio a possedere una carica magica.
Prima di tutto perché Cielo senza Terra è sì quello che si potrebbe definire un video diario, ma si presenta a tutti gli effetti come una storia corale. Questo perché mostra l’avventura di un genitore e del suo piccolo bambino, la loro scoperta reciproca aiutata da quel sano isolamento che è in grado di offrire il contatto stretto con la natura, alternando il tutto ad altre due vicende, che intervengono regolarmente durante la narrazione: l’occupazione di una fabbrica a Milano ed il racconto (attraverso una voce fuori campo) delle (dis)avventure di un produttore musicale negli anni settanta. La cosa sembra volerci ricordare che non esistono “storie universali” e che ad ogni esistenza ne corrispondono infinite altre, altrettanto interessanti. Un intento riuscito solo in parte, questo perché a conti fatti ci troviamo di fronte ad un intreccio che in più punti sembra forzato e che non riesce sempre a risultare coinvolgente.
Poco male perché e nella sua componente principale che il film riesce a trovare la sua maggiore esaltazione. Difficile capire se alcuni scambi di battute tra il regista e suo figlio siano stati studiati o siano frutto della più pura improvvisazione. Resta il fatto che riescono benissimo ad esprimere una voglia di scoperta reciproca (quella tipica di chi si trova per la prima volta a osservare ciò che lo circonda), in grado di intenerire senza cadere nel più squallido voyeurismo.
Prima di tutto perché Cielo senza Terra è sì quello che si potrebbe definire un video diario, ma si presenta a tutti gli effetti come una storia corale. Questo perché mostra l’avventura di un genitore e del suo piccolo bambino, la loro scoperta reciproca aiutata da quel sano isolamento che è in grado di offrire il contatto stretto con la natura, alternando il tutto ad altre due vicende, che intervengono regolarmente durante la narrazione: l’occupazione di una fabbrica a Milano ed il racconto (attraverso una voce fuori campo) delle (dis)avventure di un produttore musicale negli anni settanta. La cosa sembra volerci ricordare che non esistono “storie universali” e che ad ogni esistenza ne corrispondono infinite altre, altrettanto interessanti. Un intento riuscito solo in parte, questo perché a conti fatti ci troviamo di fronte ad un intreccio che in più punti sembra forzato e che non riesce sempre a risultare coinvolgente.
Poco male perché e nella sua componente principale che il film riesce a trovare la sua maggiore esaltazione. Difficile capire se alcuni scambi di battute tra il regista e suo figlio siano stati studiati o siano frutto della più pura improvvisazione. Resta il fatto che riescono benissimo ad esprimere una voglia di scoperta reciproca (quella tipica di chi si trova per la prima volta a osservare ciò che lo circonda), in grado di intenerire senza cadere nel più squallido voyeurismo.
Pubblicato su ScreenWEEK
2 commenti:
Ciao, complimenti per il blog e per la segnalazione di questo film, che mi ha incuriosito, ma che non riesco a trovare nel web...Consigli? Ti metto fra i blog amici, se ti va di ricambiare con una visitina al mio piccolo neonato blog, ne sarei felice...ciao!
grazie per i complimenti. Il film è di difficile reperibilità e ha anche avuto una distribuzione molto scarsa da quello che ho capito...
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