La giovane Ali Rose (Christina Aguilera) lascia la sua città e il suo lavoro di cameriera per inseguire un sogno: ballare. Arrivata a Los Angeles con un pugno di dollari e un sacco di speranze, questa ragazza trova un impiego, sempre come cameriera, nel locale neo-burlesque gestito da Tess (Cher). Da lì al palco il passo sarà molto breve.
Sarebbe troppo facile e fondamentalmente banale scagliarsi contro una pellicola come Burlesque, che presenta gran parte di quelle caratteristiche che, solo a sentirle, sono in grado di provocare l’orticaria a gran parte della cosiddetta “critica autorevole”. Cerchiamo dunque di analizzare questo film per quello che è, tralasciando eventuali pregiudizi e soffermandoci sulle caratteristiche positive che questo titolo possiede. Caratteristiche che diventano ancora più degne di nota se si paragona quest’opera alla miriade di altri titoli simili che sono usciti e, cascasse il mondo, continueranno ad uscire: Crossroads – Le strade della vita per esempio, imbarazzante esordio cinematografico della collega/rivale Britney Spears; o il più recente Ballare per un Sogno, che con la pretesa di tirare in ballo il burlesque non ha fatto altro che ridicolizzare un genere. Il film diretto da Steve Antin spicca tra questi macigni quasi fosse un diamante grezzo, ma è anche vero che in questo modo, citando il tormentone di una nota pubblicità, “vince facile”.
Nessuno ha infatti detto di trovarsi di fronte al riscatto di quel cinema incentrato sul mondo del ballo, sia chiaro. I difetti ci sono eccome e risiedono per la maggior parte in una storia prevedibile all’inverosimile, che banalizza il sogno americano con una facilità e un buonismo tali che in più di un’occasione si fanno fatica a sopportare: quasi nulle le difficoltà incontrate dalla protagonista lungo la sua scalata al successo, che nel giro di pochissimo tempo passa dall’essere una semplice cameriera di provincia al diventare la principale attrazione del locale gestito dalla matrona Cher (che per quest’interpretazione si è anche beccata una nomination ai Razzie Awards); ridotto ad una leggera patina tutto quel marcio che, in fin dei conti, dovrebbe essere presente all’interno di una pellicola simile, perlomeno per offrire un minimo di pepe alla storia.
Rimangono alcuni interpreti più o meno degni nota, tra cui spicca uno Stanley Tucci bravissimo e più queer che mai; la voce e i balletti della protagonista Christina Aguilera, che a conti fatti dimostra di saper gestire un palco (ma questo si sapeva già); alcune coreografie forse un po’ troppo patinate, ma di sicuro effetto. Tutte cose che non rendono il film un capolavoro, ma che di certo contribuiscono a farne un prodotto in grado di superare le (basse) aspettative. Tempo un mese e nessuno se ne ricorderà, ma anche questo fa parte del gioco.
Sarebbe troppo facile e fondamentalmente banale scagliarsi contro una pellicola come Burlesque, che presenta gran parte di quelle caratteristiche che, solo a sentirle, sono in grado di provocare l’orticaria a gran parte della cosiddetta “critica autorevole”. Cerchiamo dunque di analizzare questo film per quello che è, tralasciando eventuali pregiudizi e soffermandoci sulle caratteristiche positive che questo titolo possiede. Caratteristiche che diventano ancora più degne di nota se si paragona quest’opera alla miriade di altri titoli simili che sono usciti e, cascasse il mondo, continueranno ad uscire: Crossroads – Le strade della vita per esempio, imbarazzante esordio cinematografico della collega/rivale Britney Spears; o il più recente Ballare per un Sogno, che con la pretesa di tirare in ballo il burlesque non ha fatto altro che ridicolizzare un genere. Il film diretto da Steve Antin spicca tra questi macigni quasi fosse un diamante grezzo, ma è anche vero che in questo modo, citando il tormentone di una nota pubblicità, “vince facile”.
Nessuno ha infatti detto di trovarsi di fronte al riscatto di quel cinema incentrato sul mondo del ballo, sia chiaro. I difetti ci sono eccome e risiedono per la maggior parte in una storia prevedibile all’inverosimile, che banalizza il sogno americano con una facilità e un buonismo tali che in più di un’occasione si fanno fatica a sopportare: quasi nulle le difficoltà incontrate dalla protagonista lungo la sua scalata al successo, che nel giro di pochissimo tempo passa dall’essere una semplice cameriera di provincia al diventare la principale attrazione del locale gestito dalla matrona Cher (che per quest’interpretazione si è anche beccata una nomination ai Razzie Awards); ridotto ad una leggera patina tutto quel marcio che, in fin dei conti, dovrebbe essere presente all’interno di una pellicola simile, perlomeno per offrire un minimo di pepe alla storia.
Rimangono alcuni interpreti più o meno degni nota, tra cui spicca uno Stanley Tucci bravissimo e più queer che mai; la voce e i balletti della protagonista Christina Aguilera, che a conti fatti dimostra di saper gestire un palco (ma questo si sapeva già); alcune coreografie forse un po’ troppo patinate, ma di sicuro effetto. Tutte cose che non rendono il film un capolavoro, ma che di certo contribuiscono a farne un prodotto in grado di superare le (basse) aspettative. Tempo un mese e nessuno se ne ricorderà, ma anche questo fa parte del gioco.
Pubblicato su ScreenWEEK
1 commento:
Ma sinceramente, anche no.
Ale55andra
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