venerdì 4 febbraio 2011

Rabbit Hole

Rabbit Hole (2010, regia John Cameron Mitchell)



Becca e Howie (Nicole Kidman e Aaron Eckhart) sono una coppia che sta passando un periodo di profonda crisi a causa della scomparsa del loro bambino, morto dopo essere stato investito da una macchina. Per cercare di superare questo dolore, i due hanno cominciato a frequentare una terapia di gruppo, ma la cosa non sembra funzionare. La situazione si complica nel momento in cui Howie comincia a frequentare una donna conosciuta durante queste sedute, mentre Becca decide di stringere un rapporto con il giovane adolescente responsabile della morte del figlio.

Dopo essersi aggiudicato una nomination all’Oscar nella categoria Migliore Attrice, ecco che Rabbit Hole arriva nelle nostre sale. E lo fa con le migliori presentazioni, visti i consensi riscontrati in patria. Un successo che a conti fatti è sì meritato, ma non così tanto. Diciamo subito, infatti, che quella diretta da John Cameron Mitchell è una pellicola bella, ma non è certo quel capolavoro che ci si aspettava, questo perché sembra costantemente soffrire della mancanza di qualcosa. Ciononostante possiede quella carica che solo le opere cosiddette “indipendenti” possono vantare e che, sebbene nascosta astutamente tra le fitte trame del dramma, riesce a donargli quella freschezza che gran parte dei blockbuster contemporanei non possiedono.

Rabbit Hole è un film che gioca sulle sottrazioni, e non potrebbe essere altrimenti, visto che la sua storia pone le sue fondamenta sul lutto, sulla mancanza, su quel vuoto incolmabile che trascina i due protagonisti lungo un pozzo (apparentemente) senza fondo, proprio come la tana di un coniglio. Ad una sceneggiatura ben scritta, che cerca continuamente di far parlare le immagini, piuttosto che limitarsi a dare facili spiegazioni riguardo il cosa, il come, il dove e il quando, si unisce l’interpretazione dei due protagonisti: Nicole Kidman, che ormai da troppo tempo non riusciva a trovare un ruolo in grado di esaltare la sua bravura, e Aaron Eckhart, attore che, dopo un periodo passato inspiegabilmente nell’ombra, sembra avere ottenuto il meritato successo.

Inutile dire che il film è sorretto quasi interamente – se non del tutto – da loro, ma è anche vero che non poteva essere altrimenti. È un vero peccato, dunque, sapere che il doppiaggio appiattirà in maniera inevitabile il loro lavoro.

Pubblicato su ScreenWEEK

2 commenti:

Lilith ha detto...

L'ho visto in lingua originale al festival di Roma e l'ho trovato bellissimo. Lacrime a parte (mi ha toccata molto) trovo che sia un'opera ottima, forse un po' verbocentrica (o, se vogliamo: di sceneggiatura e interpretazione), ma molto bella anche a livello visuale. Ho apprezzato soprattutto il ritrovare alcuni caratteri propri di JCM in un'opera che si allontana parecchio a livello tematico dalle due precedenti.

PS: ue Filippo, come andiamo?

Anonimo ha detto...

Anche a me è piaciuto, ma ovviamente non siamo di fronte ad un capolavoro. Anche io l'ho visto a Roma in lingua originale e ovviamente ho apprezzato molto le due interpretazioni.

Ale55andra

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