Un po’ tutti vorremmo essere invisibili, anche solo per qualche secondo. A volte per vergogna, altre per il potere che la trasparenza garantisce. Se parliamo di attori il ragionamento non funziona, questo per ovvie ragioni. Chi basa la sua professione sull’immagine, sulla corporalità, difficilmente è in grado di sopportare il fatto di non potere essere visto. Certo, questa logica non vale per Claude Rains, migliore amico di Humphrey Bogart in Casablanca, ma prima ancora uomo invisibile per la Universal.
Proprio così, il successo di un attore, dovuto al fatto di non essere visto praticamente per l’intera durata di un lungometraggio (se si escludono i pochi, melodrammatici, secondi del finale). A guardar bene si tratta di una sfida maggiore, l’assenza di un’immagine deve per forza essere superata. Ecco che interviene la gestualità, ecco che interviene la voce. E che voce. Se dovesse capitarvi di guardare L’Uomo Invisibile, pellicola del 1933, diretta da James Whale, cercate di farlo in lingua originale. Il rischio se non lo fate è quello di perdervi una delle più straordinarie caratterizzazioni del Mad Doctor che il grande schermo è riuscito ad offrire. Siete avvisati dunque.
Non vi basta? Allora guardatelo per i suoi effetti speciali, per l’uso stupefacente del Chroma key (tecnica che permette di unire due o più sorgenti video, sfruttando un particolare colore) ad opera di John P. Fulton, che, più di settant’anni fa, è riuscito a far scomparire un uomo, a far camminare un paio di pantaloni, a far ballare una camicia. Pensate cosa deve aver rappresentato tutto questo per il pubblico dell’epoca, che ad intervalli quasi regolari veniva stupito dalle meraviglie di casa Universal. Poi c’è James Whale, regista non solo di genere, ma ricordato più che altro per quello. E’ impossibile non notare il suo inconfondibile tocco, soprattutto nelle frequenti sdrammatizzazioni e in quei picchi di umorismo che raggiungono l’apice grazie all’interpretazione di Una O’Connor, locandiera particolarmente isterica ma molto, molto divertente.
Proprio così, il successo di un attore, dovuto al fatto di non essere visto praticamente per l’intera durata di un lungometraggio (se si escludono i pochi, melodrammatici, secondi del finale). A guardar bene si tratta di una sfida maggiore, l’assenza di un’immagine deve per forza essere superata. Ecco che interviene la gestualità, ecco che interviene la voce. E che voce. Se dovesse capitarvi di guardare L’Uomo Invisibile, pellicola del 1933, diretta da James Whale, cercate di farlo in lingua originale. Il rischio se non lo fate è quello di perdervi una delle più straordinarie caratterizzazioni del Mad Doctor che il grande schermo è riuscito ad offrire. Siete avvisati dunque.
Non vi basta? Allora guardatelo per i suoi effetti speciali, per l’uso stupefacente del Chroma key (tecnica che permette di unire due o più sorgenti video, sfruttando un particolare colore) ad opera di John P. Fulton, che, più di settant’anni fa, è riuscito a far scomparire un uomo, a far camminare un paio di pantaloni, a far ballare una camicia. Pensate cosa deve aver rappresentato tutto questo per il pubblico dell’epoca, che ad intervalli quasi regolari veniva stupito dalle meraviglie di casa Universal. Poi c’è James Whale, regista non solo di genere, ma ricordato più che altro per quello. E’ impossibile non notare il suo inconfondibile tocco, soprattutto nelle frequenti sdrammatizzazioni e in quei picchi di umorismo che raggiungono l’apice grazie all’interpretazione di Una O’Connor, locandiera particolarmente isterica ma molto, molto divertente.
Pubblicato su: The Wolfman
3 commenti:
Questo mi manca. Vedrò di recuperarlo.
7
Complimenti, bella recensione.
E hai ragione riguardo agli effetti speciali, noi siamo troppo abituati alla computer graphic per stupirci ancora, ma 70 anni fa chissà che spettacolo doveva essere.
Ti consiglio di leggere il libro in ogni caso, H.G.Wells è stupendo.
L’UOMO NELLA FOTO
…un vero album di miei versi, istantanei e personali…
Refrain,
Cosa sarei senza un refrain?
Ad una distanza da un libero piglia-piglia
Mi riconosco
Ma prima di voltarmi
Con la coda dell’occhio
Continuamente
Distinguo
Una zona d’ombra
Personalità e mentalità flan.
Lascio cadere la mia foto
Che odio
Più dell’invidia dei miei nemici
Flash
Flashback
Cercando le risposte
Quelle dediche agli sconosciuti
E un tratto di sorry e visi sorridenti
Flash
Flashback
Su di me, scambi di occhiaie
Arrivate fino a qui al cambio
Nel grande formato
Impaginato e nato in metropolitana
Flash
Flashback
Da modello in oltremisura
Postato e in posa
Arrivato smerciato dai giorni, là fuori
Come un uomo nella foto
Artigliato e fragile.
Ad una distanza da libero indovino
Mi rifiuto
Ma prima di capire chi sono
Con la coda di un orecchino
Mi chiudo in casa ed irrito la chiave…
Poi scatto le mie pulizie interiori
Dove il bianco e nero
Starnutisce
Al flan.
Refrain,
Cosa sarei senza un refrain?
Da “Il cuore degli Angeli”
di Maurizio Spagna
www.ilrotoversi.com
info@ilrotoversi.com
L’ideatore creativo,
paroliere, scrittore e poeta al leggìo-
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