Randy “The Ram” Robinson è un ex Wrestler ormai sul viale del tramonto, costretto a dover fare i conti con le batoste che la vita gli ha riservato (come se non bastassero quelle prese sul ring).
L’ansia di non poter arrivare a fine mese nonostante qualche sporadico incontro (in ricordo dei vecchi tempi) e un lavoretto in un supermarket, il tentativo di recuperare il rapporto con una figlia messa da parte per troppo tempo e l’amore (impossibile) per una spogliarellista.
Nonostante tutto Randy ha voglia di un riscatto e l’unico terreno sul quale può ottenerlo sembra proprio essere quello delimitato dalle corde che circondano il ring.
Dopo la delusione (soprattutto personale, visto quanto si è dedicato al progetto) di The Fountain, film ambizioso, non del tutto riuscito ma dotato di un indiscutibile fascino, Darren Aronofsky torna alle atmosfere che più gli si addicono.
Quelle del cinema indipendente (la pellicola è costata sei milioni di dollari, una cifra praticamente irrisoria), che hanno saputo portarlo alla ribalta e che hanno rappresentato le tappe fondamentali di una carriera (ancora) breve ma degna di nota.
The Wrestler giunge nelle nostre sale accompagnato dalle migliori presentazioni.
Leone D’Oro al Festival di Venezia; due Golden Globe (miglior attore e migliore canzone); 3 Independent Spirit Awards (miglior film, attore protagonista e fotografia) e due nomination, purtroppo mancate, agli Oscar (miglior attore e migliore attrice non protagonista).
Solo questo basterebbe a far capire il valore di un film che, oltre a dei meriti sicuramente indiscutibili, ha il pregio di riuscire a rappresentare un duplice riscatto personale.
Quello di Aronofsky, dopo l’insuccesso del precedente progetto, ma soprattutto quello di un attore che da troppo tempo attendeva un grande ritorno.
Difficile pensare il contrario, infatti, quando il protagonista in questione è Mickey Rourke che, proprio come il suon Randy, di batoste ne ha prese dalla vita (“non sono più bello come prima, non ho più tutti i denti e dimentico sempre qualcosa, ma ci sono cazzo!”).
Nonostante la ritrosia iniziale nei confronti di un ruolo che, sportivamente parlando, rappresenta l’esatto opposto del valore agonistico della boxe - praticata dall’attore fuori dalle scene - è davvero difficile immaginare questo Wrestler con un volto diverso (soprattutto se si pensa al fatto che quella per l’indimenticato Motorcycle Boy è stata una scelta di ripiego, dopo il rifiuto di Nicolas Cage).
Altrettanto difficile pensare che Rourke non ci abbia messo anima e corpo in questo progetto. Persino la sua schiena, insistentemente inquadrata da Aronofsky nei numerosi pedinamenti in piano sequenza che incorniciano la storia, sembra parlarci e ogni solco su quel viso, così diverso da quello del bello e impossibile di Nove Settimane e Mezzo, trasuda sofferenza e rassegnazione.
Una rassegnazione che, unita ad una regia così lontana dalla frenesia di Requiem For a Dream, dà forma ad un’opera cupa, ma nonostante tutto speranzosa.
Un Sunset Boulevard aggiornato e profondamente macho, che sembra volerci ricordare che, a questo mondo, siamo tutti lottatori.
Specialmente oggi.
L’ansia di non poter arrivare a fine mese nonostante qualche sporadico incontro (in ricordo dei vecchi tempi) e un lavoretto in un supermarket, il tentativo di recuperare il rapporto con una figlia messa da parte per troppo tempo e l’amore (impossibile) per una spogliarellista.
Nonostante tutto Randy ha voglia di un riscatto e l’unico terreno sul quale può ottenerlo sembra proprio essere quello delimitato dalle corde che circondano il ring.
Dopo la delusione (soprattutto personale, visto quanto si è dedicato al progetto) di The Fountain, film ambizioso, non del tutto riuscito ma dotato di un indiscutibile fascino, Darren Aronofsky torna alle atmosfere che più gli si addicono.
Quelle del cinema indipendente (la pellicola è costata sei milioni di dollari, una cifra praticamente irrisoria), che hanno saputo portarlo alla ribalta e che hanno rappresentato le tappe fondamentali di una carriera (ancora) breve ma degna di nota.
The Wrestler giunge nelle nostre sale accompagnato dalle migliori presentazioni.
Leone D’Oro al Festival di Venezia; due Golden Globe (miglior attore e migliore canzone); 3 Independent Spirit Awards (miglior film, attore protagonista e fotografia) e due nomination, purtroppo mancate, agli Oscar (miglior attore e migliore attrice non protagonista).
Solo questo basterebbe a far capire il valore di un film che, oltre a dei meriti sicuramente indiscutibili, ha il pregio di riuscire a rappresentare un duplice riscatto personale.
Quello di Aronofsky, dopo l’insuccesso del precedente progetto, ma soprattutto quello di un attore che da troppo tempo attendeva un grande ritorno.
Difficile pensare il contrario, infatti, quando il protagonista in questione è Mickey Rourke che, proprio come il suon Randy, di batoste ne ha prese dalla vita (“non sono più bello come prima, non ho più tutti i denti e dimentico sempre qualcosa, ma ci sono cazzo!”).
Nonostante la ritrosia iniziale nei confronti di un ruolo che, sportivamente parlando, rappresenta l’esatto opposto del valore agonistico della boxe - praticata dall’attore fuori dalle scene - è davvero difficile immaginare questo Wrestler con un volto diverso (soprattutto se si pensa al fatto che quella per l’indimenticato Motorcycle Boy è stata una scelta di ripiego, dopo il rifiuto di Nicolas Cage).
Altrettanto difficile pensare che Rourke non ci abbia messo anima e corpo in questo progetto. Persino la sua schiena, insistentemente inquadrata da Aronofsky nei numerosi pedinamenti in piano sequenza che incorniciano la storia, sembra parlarci e ogni solco su quel viso, così diverso da quello del bello e impossibile di Nove Settimane e Mezzo, trasuda sofferenza e rassegnazione.
Una rassegnazione che, unita ad una regia così lontana dalla frenesia di Requiem For a Dream, dà forma ad un’opera cupa, ma nonostante tutto speranzosa.
Un Sunset Boulevard aggiornato e profondamente macho, che sembra volerci ricordare che, a questo mondo, siamo tutti lottatori.
Specialmente oggi.
Pubblicato su Cineocchio
14 commenti:
"Un Sunset Boulevard aggiornato e profondamente macho, che sembra volerci ricordare che, a questo mondo, siamo tutti lottatori".
Bellissimo
Grazie! :)
Non vedo letteralmente l'ora. Forse stasera, spero.
Ale55andra
quoto ale55andra!
Dovete vederlo assolutamente!!!
Non vedo l'ora di vederlo!
Sto uscendo proprio adesso per andare a vederlo. Mi aspetto qualcosa di inimmaginabile ;)
la citazione wilderiana finale è una chicca. E' vero, questo film è ormai Rourke. Però quanti altri film che identifichiamo con gli attori protagonisti dovevano inizialmente essere interpretati da altri? E' una delle curiosi varianti del cinema.
Verissimo. Pensa a Indiana Jones che all'inizio doveva essere interpretato da Tom "Magnum P.I." Selleck...o addirittura Rambo, che doveva essere interpretato, non ci si crede, da Dustin Hoffman...
la mdp che segue randy mentre percorre i corridoi del supermercato come quando lo seguiva nel percorso verso il ring è per ora la scena più bella del 2009!! filmonazzo!
Verissimo, grandissima scena!
Bellissimo. Emozioni a non finire. Sono stato attratto in particolare (oltre che dai movimenti della mdp a mano) dalla topografia dei corpi di Randy e Cassidy.
in realta' esistono gia' 30 mila copie di questo film tra il western e la guerra. per dire, anche stallone in "rambo" duemila anni fa ha detto le stesse cose che vengono dette (stancamente) in questo film (bolso).
pero' e' divertente quando si sparano le pose e quando parlano di musica.
ps:
i nirvana erano finocchi.
sinceramente io in Rambo (che considero un piccolo capolavoro) ci ho sempre visto una lucida analisi sugli effetti che ogni guerra ha su chi la combatte (il cosidetto disturbo da stress post traumatico). Un messaggio che si è perso comletamente nei successivi film dedicati al personaggio (anche se devo ammettere che l'ultimo ha un suo fascino).
Per tipologia The Wrestler mi ha ricordato moltissimo Viale del Tramonto, al quale si rifanno moltissimi altri film (come giustamente sottolinei).
assolutamente niente di innovativo, ma il film funziona (a mio parere moltissimo), e questo è l'importante.
Mickey Rourke a mio parere meritava l'Oscar (più di Sean Penn), ma mai e poi mai glielo avrebbero dato.
E questo si sapeva.
PS:
Io ci sono cresciuto con i Nirvana, ora non li ascolto più ma non posso dire che sono finocchi. Sarebbe come sputare nel piatto dove ho mangiato per anni.
Quindi me la cavo con un
W LEMMY!!! :)
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