Giunti a quota tre, ormai possiamo esserne sicuri.
Quando i nomi di Frank Darabont e Stephen King fanno capolino sullo stesso manifesto, il film è da vedere.
Non per chissà quale motivo, semplicemente per il fato che l’alchimia tra lo scrittore e il regista e tra i più solidi sinonimi di garanzia che il grande schermo può vantare.
The Mist è la conferma, non solo di quanto le opere di King - nel bene o nel male - si prestino perfettamente alla dimensione cinematografica (ricordando ogni volta le parole che John Carpenter ha fatto dire al suo scrittore maledetto Sutter Cane: “Chi non ha letto il libro, vedrà il film!”), ma anche di quanto Darabont sia un regista in grado di trarre il meglio anche dalle storie meno promettenti dello scrittore.
Perché, diciamolo chiaramente, questo film non ha il fascino di racconti come Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank o Il miglio verde.
Le basi su cui si poggia l’intera vicenda non sono certo delle più solide e rubano (o citano, scegliete voi) qua e là, da un trentennio di filmografia di genere.
Primo fra tutti John Carpenter - giustamente citato nei primi minuti della pellicola - cui il titolo deve l’intera struttura.
Struttura tipica delle storie cosiddette “di assedio”, all’interno delle quali un gruppo di persone chiuso in un ambiente delimitato si trova suo malgrado a dover fronteggiare attacchi esterni (in questo caso misteriose creature nascoste nella nebbia).
Una definizione che inevitabilmente richiama anche altri nomi illustri, del calibro di Hitchcock e Romero e che scomoda quella tradizione western tanto cara al cinema americano, manifestandosi nella sua essenza come metafora di un microcosmo perfettamente proporzionato (benché stereotipato all’inverosimile) .
Anche per questo più volte durante la visione il nome di M. Night Shyamalan, il cui cinema ha sempre trovato terreno fertile nelle metafore sociali, ha fatto capolino.
Colpe umane e paure profondamente radicate nell'animo hanno molto in comune con il recente E venne il giorno.
Ma a differenza dell’ultima fatica del regista indiano, The Mist possiede un ritmo tale da tenere letteralmente incollati alla poltrona, provocando quell’interazione emotiva ormai del tutto assente all’interno dell’odierno panorama cinematografico di genere.
Non si tratta di un contentino, ma di un vero e proprio ritorno ai bei tempi.
Quelli in cui si gridava verso lo schermo frasi del tipo:
“Corri!!! Scappa!!!”
Quando i nomi di Frank Darabont e Stephen King fanno capolino sullo stesso manifesto, il film è da vedere.
Non per chissà quale motivo, semplicemente per il fato che l’alchimia tra lo scrittore e il regista e tra i più solidi sinonimi di garanzia che il grande schermo può vantare.
The Mist è la conferma, non solo di quanto le opere di King - nel bene o nel male - si prestino perfettamente alla dimensione cinematografica (ricordando ogni volta le parole che John Carpenter ha fatto dire al suo scrittore maledetto Sutter Cane: “Chi non ha letto il libro, vedrà il film!”), ma anche di quanto Darabont sia un regista in grado di trarre il meglio anche dalle storie meno promettenti dello scrittore.
Perché, diciamolo chiaramente, questo film non ha il fascino di racconti come Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank o Il miglio verde.
Le basi su cui si poggia l’intera vicenda non sono certo delle più solide e rubano (o citano, scegliete voi) qua e là, da un trentennio di filmografia di genere.
Primo fra tutti John Carpenter - giustamente citato nei primi minuti della pellicola - cui il titolo deve l’intera struttura.
Struttura tipica delle storie cosiddette “di assedio”, all’interno delle quali un gruppo di persone chiuso in un ambiente delimitato si trova suo malgrado a dover fronteggiare attacchi esterni (in questo caso misteriose creature nascoste nella nebbia).
Una definizione che inevitabilmente richiama anche altri nomi illustri, del calibro di Hitchcock e Romero e che scomoda quella tradizione western tanto cara al cinema americano, manifestandosi nella sua essenza come metafora di un microcosmo perfettamente proporzionato (benché stereotipato all’inverosimile) .
Anche per questo più volte durante la visione il nome di M. Night Shyamalan, il cui cinema ha sempre trovato terreno fertile nelle metafore sociali, ha fatto capolino.
Colpe umane e paure profondamente radicate nell'animo hanno molto in comune con il recente E venne il giorno.
Ma a differenza dell’ultima fatica del regista indiano, The Mist possiede un ritmo tale da tenere letteralmente incollati alla poltrona, provocando quell’interazione emotiva ormai del tutto assente all’interno dell’odierno panorama cinematografico di genere.
Non si tratta di un contentino, ma di un vero e proprio ritorno ai bei tempi.
Quelli in cui si gridava verso lo schermo frasi del tipo:
“Corri!!! Scappa!!!”
15 commenti:
PICCOLA NOTA:
Io ho gridato come un pazzo:
"Prendi quella cazzo di accetta!!! Veloce!!!" ^^
La stavo aspettando e direi che l'attesa è stata più che ripagata! ^^
Non aggiungerei nient'altro tranne che il finale per me è uno dei più belli e potenti (di un pessimismo davvero estremo) visti al cinema negli ultimi anni!
Un saluto
caaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaacccchioooo
non posso perdermelo
non posso perdermelo
non posso perdermelo
non posso perdermelo
non posso perdermelo
vado parzialmente offpost, ma tu che sei un fanatico dell'horror sicuramente ne saprai di più: quando citavi Il seme della follia, mi chiedevo solo ora quanto King potesse aver influenzato la raffigurazione di quello scrittore - per Carpenter che l'aveva incrociato precedentemente con Christine... dici che c'è pane per un'analisi profonda?
Allora devo proprio vederlo. Ho letto molte recensioni positive e a questo punto non posso che prendere atto che The Mist dev'essere un film di ottima qualità. E pensare che mi ero convinto di trovarmi davanti al solito insignificante remake di The Fog.
Giudizio positivo anche da parte mia. Anche se, come ho già scritto, c'è qualche caduta nell'umorismo involontario.
Giustissimo poi il riferimento a Carpenter che, a sua volta, sostiene di rifare da sempre "Rio Bravo" (Per un dollaro d'onore). Quindi, a risalire, arriviamo fino a Hawks! :-)
@ chimy: io continuo ad aspettare la tua recensione!:)
@ peeping tom: questo davvero devi vederlo!
@ noodles: che il personaggio di Cane abbia molto in comune con king, non ci sono dubbi...anche se ho sempre visto il film come un omaggio ad atmosfere più datate, quelle di Lovecraft.
Volendo fare un analisi ci sarebbe moltissimo da dire...
@ Mr Hamlin: colgo l'occasione per un piccolo sfogo: ho da poco comprato il dvd di un dollaro d'onore, tutto contento per il commento audio di Carpenter.
Purtroppo la warner si dimentica sempre di sottotitolare i commenti...:(
mi è piaciuto veramente un sacco! finalmente un film come si deve. il finale è meraviglioso, proprio come piace a me.
i miei soci andarono mentre io non potevo per una serata particolare, ma mi dissero che 'sto film fa cacare aglio. a questo punto lo ripesco per fatti miei e me lo vedo dal divano.
Bene, anche tu confermi la bellezza del film.
Io l'ho giudicato un capolavoro (9,5) anche per il finale davvero allucinante, uno dei più belli mai visti a cinema, anche grazie alla splendida voce di Lisa Germano dei Dead Can Dance.
QUIZ: LE FRASI CELEBRI DEL CINEMA
@ olocausto random: ehm..."fa cacare aglio" è bene o male? :)
@ amos gitai: capolavoro no so...sicuramente un film validissimo, come non se ne vedevano da secoli!
a loro ha fatto ribrezzo. li libro piacque, il film fece schifo.
Ah....beh, il libro non l'ho letto, quindi non posso fare paragoni.
Effettivamente la storia non è questo gran che, il film punta più che altro a solleticare la parte emotiva.
Per quanto mi riguarda ci resce benissimo...
ancora non l'ho visto!
Posso solo dire che già il racconto ti faceva dire: "corri, scappa" e avevo paura il film fosse affidato al solito idiota di turno...di darabont mi fido!con un anno di ritardo sulla distribuzione mondiale ma ci siam arrivati anche noi....non vedo l'ora!
Deneil, tu lo devi vedere assolutamente...se non ricordo male a occupato per un po' di tempo l'header del tuo blog.
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