Seguendo un impianto narrativo di tipo circolare, che si apre e si chiude con la stessa inquadratura (quella degli occhi di Juliette Lewis), Il film racconta la storia di una vendetta. Quella attuata dall’ex galeotto Max Cady (Robert De Niro) ai danni del suo avvocato difensore Sam Bowden (Nick Nolte).
La rabbia maturata nei confronti dell’uomo che non ha saputo difenderlo, spingerà Max ad una manovra intimidatoria che coinvolgerà non solo il legale, ma tutta la sua famiglia.
Remake dell’omonimo film del 1962, Cape Fear è quello che si potrebbe definire un film di superficie, ma questo non deve per forza essere inteso come un difetto.
Contiene le caratteristiche del thriller perfetto proprio perché si accontenta di una caratterizzazione marcata, volutamente ambigua e allo stesso tempo diretta.
Facendo riferimento al metodo analitico di Queneau, secondo il quale ogni grande opera è o un Iliade o un’Odissea, quella di Scorsese si colloca di diritto nella seconda – e più ampia – categoria.
E’ infatti la storia di un viaggio, sebbene figurato, che porta un eroe (in questo caso Nick Nolte) ad allontanarsi da se stesso, per fare ritorno carico di una nuova consapevolezza.
Motivo di tale pellegrinaggio è proprio Max Cady, personaggio in grado di possedere allo stesso tempo le caratteristiche della vittima e del carnefice.
Condannato ingiustamente (sebbene colpevole) a causa di una volontaria omissione di prove da parte del suo avvocato difensore, ha avuto quattordici anni per maturare – all’interno della sua personalissima Odissea – il suo odio, tatuando sul corpo l’evoluzione di una vendetta che segue rabbia e motivazione biblica.
E’ proprio in quei segni che trova esaltazione la superficialità di questo film, cosa che, con uguali intenti ma finalità diverse, è stata ripresa da David Cronenberg nel suo Eastern Promises.
Entrambi i protagonisti delle pellicole (Max e Nikolai) vengono infatti “letti” tramite la decifrazione dei loro tatuaggi, diventando concretizzazione di un’interiorità “a fior di pelle”, dove la fisicità diventa esaltazione di un percorso di vita.
Ma il film di Scorsese, a differenza di quello di Cronenberg, tende più ad analizzare la cosiddetta punta dell’iceberg, limitandosi a toccare il visibile.
Visibile che, secondo le regole dettate dai classici del genere, viene usato come veicolo di emotività.
E’ qui che la regia trova le sue ragioni più alte.
Quella di Cape Fear è una realtà volutamente poco plausibile, rappresentata in quanto catalizzatore di emozioni.
L’esempio più evidente di quanto detto lo si può trovare nella raffigurazione del cielo, che più volte interviene durante la narrazione.
Ogni panoramica è a suo modo inquieta (e inquietante), carica di quella luce innaturale che illumina in più di un’occasione anche gli interni.
Non sono rare infatti le inquadrature vivacizzate da tonalità contrastanti.
Un uso dei colori – soprattutto negli spazi chiusi – che sfrutta il profilmico come veicolo di emozione, seguendo quella linea tracciata anni prima da Mario Bava all’interno del suo Sei donne per l’assassino (la passione di Scorsese per il regista italiano è cosa nota).
Un tripudio emotivo che trova esaltazione in una particolare scena, forse la più bella e suggestiva di tutto il film.
Quella del rapporto sessuale tra Sam Bowden e sua moglie.
Una parabola ascendente che, passando attraverso bianco e nero e negativo, sembra ripercorrere l’orgasmo e la sua successiva quiete.
Talmente perfetto nella sua rappresentazione da rasentare la pornografia.
La rabbia maturata nei confronti dell’uomo che non ha saputo difenderlo, spingerà Max ad una manovra intimidatoria che coinvolgerà non solo il legale, ma tutta la sua famiglia.
Remake dell’omonimo film del 1962, Cape Fear è quello che si potrebbe definire un film di superficie, ma questo non deve per forza essere inteso come un difetto.
Contiene le caratteristiche del thriller perfetto proprio perché si accontenta di una caratterizzazione marcata, volutamente ambigua e allo stesso tempo diretta.
Facendo riferimento al metodo analitico di Queneau, secondo il quale ogni grande opera è o un Iliade o un’Odissea, quella di Scorsese si colloca di diritto nella seconda – e più ampia – categoria.
E’ infatti la storia di un viaggio, sebbene figurato, che porta un eroe (in questo caso Nick Nolte) ad allontanarsi da se stesso, per fare ritorno carico di una nuova consapevolezza.
Motivo di tale pellegrinaggio è proprio Max Cady, personaggio in grado di possedere allo stesso tempo le caratteristiche della vittima e del carnefice.
Condannato ingiustamente (sebbene colpevole) a causa di una volontaria omissione di prove da parte del suo avvocato difensore, ha avuto quattordici anni per maturare – all’interno della sua personalissima Odissea – il suo odio, tatuando sul corpo l’evoluzione di una vendetta che segue rabbia e motivazione biblica.
E’ proprio in quei segni che trova esaltazione la superficialità di questo film, cosa che, con uguali intenti ma finalità diverse, è stata ripresa da David Cronenberg nel suo Eastern Promises.
Entrambi i protagonisti delle pellicole (Max e Nikolai) vengono infatti “letti” tramite la decifrazione dei loro tatuaggi, diventando concretizzazione di un’interiorità “a fior di pelle”, dove la fisicità diventa esaltazione di un percorso di vita.
Ma il film di Scorsese, a differenza di quello di Cronenberg, tende più ad analizzare la cosiddetta punta dell’iceberg, limitandosi a toccare il visibile.
Visibile che, secondo le regole dettate dai classici del genere, viene usato come veicolo di emotività.
E’ qui che la regia trova le sue ragioni più alte.
Quella di Cape Fear è una realtà volutamente poco plausibile, rappresentata in quanto catalizzatore di emozioni.
L’esempio più evidente di quanto detto lo si può trovare nella raffigurazione del cielo, che più volte interviene durante la narrazione.
Ogni panoramica è a suo modo inquieta (e inquietante), carica di quella luce innaturale che illumina in più di un’occasione anche gli interni.
Non sono rare infatti le inquadrature vivacizzate da tonalità contrastanti.
Un uso dei colori – soprattutto negli spazi chiusi – che sfrutta il profilmico come veicolo di emozione, seguendo quella linea tracciata anni prima da Mario Bava all’interno del suo Sei donne per l’assassino (la passione di Scorsese per il regista italiano è cosa nota).
Un tripudio emotivo che trova esaltazione in una particolare scena, forse la più bella e suggestiva di tutto il film.
Quella del rapporto sessuale tra Sam Bowden e sua moglie.
Una parabola ascendente che, passando attraverso bianco e nero e negativo, sembra ripercorrere l’orgasmo e la sua successiva quiete.
Talmente perfetto nella sua rappresentazione da rasentare la pornografia.
Pubblicato su Livecity.it
8 commenti:
Non sempre la superficialità è un difetto, è vero. Come in questo caso. Una superficialità con eccessi di carattere che rivelano più ambiguità di quanto sembri all'apparenza. Uno dei pochi esempi in cui originale e remake sono entrambi filmoni, ognuno a suo modo, ma entrambi magnificamnte ambigui (nei tratteggi dei personaggi).
Un grande remake. Un film che mostra la superficie lasciando intravedere il grosso dell'iceberg che sta sotto. Non lo vedo da molto tempo.
@ noodles: molti tendono a sottovalutare questo film, considerandolo solo un opera su commissione.
Io sono sempre stato del parere contrario...su commissione si, ma la regia è straordinaria!
@ luciano: io l'ho rivisto qualche giorno fa, l'effetto è sempre lo stesso. Un'opera visivamente potentissima...
A me piace moltossimo, anche se ovviamente non è tra i migliori di Scorsese, ma ovviamente è difficile essere il migliore tra tanti capolavori.
Ale55andra
io non riesco adavvero a metterlo tra i minori.
Ora la sparo grossa:
A me Casino è piaciuto molto meno...
A me Casino è piaciuto alla stessa maniera di questo, sono due grandi film che non raggiungono le vette stratosferiche di alcuni altri del regista, ma comunque sempre ottimi.
Ale55andra
A costo di diventare impopolare:
E' girato da Dio, ma mentre lo vedevo...come dicono i giuovani teenager...mi sono cascate le palle a terra.
E sia detto con il dovuto rispetto! ;)
Che film (finale a parte)!Qui De Niro è straordinario: un ruolo molto fisico, di petto!Amato la Lange poi.....
MrDavis
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