Giunta da noi nel 2005, nonostante il titolo fosse del 1997, questa controversa (anti)eroina femminile nasce dalla costola di una ben nota storia d’amore “on the road”.
Alla sua prima apparizione sul grande schermo, infatti, Perdita Durango aveva le sopracciglia folte e il viso di Isabella Rossellini.
Era il 1990. Il film era “Cuore Selvaggio”, vincitore della Palma d’oro al festival di Cannes, nonché summa di una possibile letteratura americana di stampo Lynchano.
Alla (co)sceneggiatura, ancora una volta, Barry Gifford, autore di entrambe le storie e cantore di quelle enigmatiche “Strade Perdute”, riprese nel 1996.
Come la pellicola del regista statunitense, questo “Perdita Durango”, racconta l’avventura di una coppia al limite, all’interno di quei deserti e di quel mondo patinato (non solo) americano, popolato da personalità eccessive e surreali, anticipando quell’idea di cinema espressa da David Lynch lungo la sua ”Mulholland Drive”.
Immersi nel reale filmico, infatti, nomi e volti non sono altro che “puri accidenti”, facilmente interscambiabili e modificabili.
E’ così che quel pallore e quel crine biondo ossigenato, che avevano delineato il personaggio di Isabella Rossellini, assumono magicamente, all’interno dell’opera di Álex De la Iglesia, i lineamenti marcatamente latini di Rosie Perez.
Come compagno, Romeo Dolorosa, un “esordiente” Javier Bardem, dedito alla Santeria, alla violenza e (ancora una volta) caratterizzato da un’eccentrica pettinatura.
Muovendosi tra Cuori Selvaggi e Assassini nati, il film appare come la lucida riflessione grottesca di un mondo votato fatalmente verso l’autodistruzione e contaminato da una memoria cinematografica, storica, locale, capace di (ri)vivere grazie a numerosi feticci, disseminati dal regista lungo una narrazione che culmina in un finale metacinematografico (sulla scia di “Vera Cruz”), all’interno del quale vita reale e tradizione filmica si fondono in un’estrema catarsi portatrice di gloria.
Come Sailor e Lula, come Mickey e Mallory, anche Romeo e Perdita rappresentano l’estremizzazione di un melodramma moderno, volutamente eccessivo, violento e intriso della più sporca sessualità.
Destinata a finire con una solitaria passeggiata per le vie di Las Vegas, fra luci al neon e anonimi viandanti, quest’avventura sembra volerci ricordare che, dentro questo macrocosmo caotico, non esistono vincitori, tantomeno cattivi.
Alla sua prima apparizione sul grande schermo, infatti, Perdita Durango aveva le sopracciglia folte e il viso di Isabella Rossellini.
Era il 1990. Il film era “Cuore Selvaggio”, vincitore della Palma d’oro al festival di Cannes, nonché summa di una possibile letteratura americana di stampo Lynchano.
Alla (co)sceneggiatura, ancora una volta, Barry Gifford, autore di entrambe le storie e cantore di quelle enigmatiche “Strade Perdute”, riprese nel 1996.
Come la pellicola del regista statunitense, questo “Perdita Durango”, racconta l’avventura di una coppia al limite, all’interno di quei deserti e di quel mondo patinato (non solo) americano, popolato da personalità eccessive e surreali, anticipando quell’idea di cinema espressa da David Lynch lungo la sua ”Mulholland Drive”.
Immersi nel reale filmico, infatti, nomi e volti non sono altro che “puri accidenti”, facilmente interscambiabili e modificabili.
E’ così che quel pallore e quel crine biondo ossigenato, che avevano delineato il personaggio di Isabella Rossellini, assumono magicamente, all’interno dell’opera di Álex De la Iglesia, i lineamenti marcatamente latini di Rosie Perez.
Come compagno, Romeo Dolorosa, un “esordiente” Javier Bardem, dedito alla Santeria, alla violenza e (ancora una volta) caratterizzato da un’eccentrica pettinatura.
Muovendosi tra Cuori Selvaggi e Assassini nati, il film appare come la lucida riflessione grottesca di un mondo votato fatalmente verso l’autodistruzione e contaminato da una memoria cinematografica, storica, locale, capace di (ri)vivere grazie a numerosi feticci, disseminati dal regista lungo una narrazione che culmina in un finale metacinematografico (sulla scia di “Vera Cruz”), all’interno del quale vita reale e tradizione filmica si fondono in un’estrema catarsi portatrice di gloria.
Come Sailor e Lula, come Mickey e Mallory, anche Romeo e Perdita rappresentano l’estremizzazione di un melodramma moderno, volutamente eccessivo, violento e intriso della più sporca sessualità.
Destinata a finire con una solitaria passeggiata per le vie di Las Vegas, fra luci al neon e anonimi viandanti, quest’avventura sembra volerci ricordare che, dentro questo macrocosmo caotico, non esistono vincitori, tantomeno cattivi.
11 commenti:
Questo non l'ho ancora visto. Lo so è incredibile visto che mi sono entusiasmato nel vedere Cuore selvaggio. Ti ringrazio perché vedrò di recuperarlo al più presto.
che figata... mo cerco di recperarlo.
@ mario e luciano: recuperatelo e poi fatemi sapere!
Io lo trovo bellissimo, ma l'altro ieri l'ho fatto vedere a dei miei amici e non l'hanno molto gradito...
Non lo conoscevo proprio! Però i rimandi che hai fatto mi fanno presagire bene!! Me lo segno.
Ale55andra
fammi sapere quando lo vedi!;)
Questo mi manca anche a me, vado subito al recupero e ti faccio sapere.
Sono proprio curioso di sapere cosa ne pensi!;)
Questo film non l'ho proprio digerito, a parte qualche scena iniziale!
si, da quello che ho capito è un film che provoca pareri contrastanti...
Lo ho da tempo, ma non mi sono ancora deciso a vederlo! Aproffitto della spinta di questa rece per farlo!
Fammi sapere cosa ne pensi!
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