L’altro giorno qui a Cinedelia si stava riflettendo su come il cinema, a livello semiologico, si comporti esattamente come il segno teorizzato da Saussure, diventando esso stesso, tramite un procedimento che presuppone l’insieme di determinati elementi (il montaggio) e un processo di codifica e decodifica da parte del destinatario (noi spettatori), il significante di un significato altro e puramente astratto.
L’aveva capito a suo tempo Lev Kulešov che, teorizzando l’effetto omonimo e il concetto di geografia immaginaria, aveva dimostrato come all’interno del racconto filmico la sensazione del reale fosse data dall’insieme delle singole inquadrature, capaci di astrarsi a tal punto da formare contenuti diversi ma non per questo discutibili (forse più reali e ancor più memorizzabili in quanto tali).
Che quel "geniaccio" di Mario Bava conoscesse queste “semplici” regole è cosa nota:
Tutti i suoi film sono principalmente opere di “regia semantica” (con un gesto azzardato si potrebbe anche definire “Pragmatica”), interessati a provocare nello spettatore atti illocutori e perlocutori, che rimandano alla Teoria degli atti linguistici* di Austin (concezione che peraltro si potrebbe adattare a tutta l’industria cinematografica).
Il finale de “I tre volti della paura” è indubbiamente l’evidente dimostrazione di quanto detto finora.
Il malvagio Boris Karloff, in sella al suo destriero, ci saluta minaccioso muovendosi verso chissà quale meta.
Mentre si allarga l’inquadratura però, la situazione ci appare nella sua realtà:
Il cavallo altro non è che un rudimentale giocattolo azionato a mano e la sensazione di movimento viene data dalla troupe (tra cui figura il regista), che muove delle frasche davanti alla cinepresa.
Il significato (il vampiro Karloff che corre tra i boschi) si è rivelato come frutto di un significante falso (solo perché smascherato, in caso contrario sarebbe rimasto vero).
E’ come volerci dire:
“Bravi boccaloni! Avevate paura di un cavallo a dondolo!”.
E qui scatterebbe un’altra riflessione:
Può il cinema essere un’arte libera per lo spettatore?
Sembrerebbe di no.
Nonostante la nostra volontà sia libera di decidere da che parte muovere gli occhi, sono altri a decidere quale porzione di realtà farci vedere (e con quale significato), obbligandoci ad una sorta di dittatura “testuale”, necessaria per la buona riuscita del messaggio inviato.
Le tirannie passate (e presenti) ci hanno mostrato che il cinema da questo punto di vista può realmente fare qualcosa. Non è questo il caso (ci mancherebbe), ma il concetto di “dittatura cinematografica” può comunque valere.
Sono ormai passati i tempi del Cinetoscopio di Edison, quando la visione delle immagini in movimento era solitaria e “spiabile” attraverso un pertugio, ma il principio è sempre lo stesso:
Nonostante la visione collettiva, il grande schermo non è altro che un enorme foro e quello che possiamo vedere è sempre limitato (e scelto da altri).
Certo che in alcuni casi ci si fa comandare con piacere…
* Per Austin un atto linguistico consta di tre parti:
• Locuzione (struttura ed enunciato)
• Illocuzione (obiettivo, intenzione comunicativa)
• Perlocuzione (effetto dell'atto linguistico sull'interlocutore)
L’aveva capito a suo tempo Lev Kulešov che, teorizzando l’effetto omonimo e il concetto di geografia immaginaria, aveva dimostrato come all’interno del racconto filmico la sensazione del reale fosse data dall’insieme delle singole inquadrature, capaci di astrarsi a tal punto da formare contenuti diversi ma non per questo discutibili (forse più reali e ancor più memorizzabili in quanto tali).
Che quel "geniaccio" di Mario Bava conoscesse queste “semplici” regole è cosa nota:
Tutti i suoi film sono principalmente opere di “regia semantica” (con un gesto azzardato si potrebbe anche definire “Pragmatica”), interessati a provocare nello spettatore atti illocutori e perlocutori, che rimandano alla Teoria degli atti linguistici* di Austin (concezione che peraltro si potrebbe adattare a tutta l’industria cinematografica).
Il finale de “I tre volti della paura” è indubbiamente l’evidente dimostrazione di quanto detto finora.
Il malvagio Boris Karloff, in sella al suo destriero, ci saluta minaccioso muovendosi verso chissà quale meta.
Mentre si allarga l’inquadratura però, la situazione ci appare nella sua realtà:
Il cavallo altro non è che un rudimentale giocattolo azionato a mano e la sensazione di movimento viene data dalla troupe (tra cui figura il regista), che muove delle frasche davanti alla cinepresa.
Il significato (il vampiro Karloff che corre tra i boschi) si è rivelato come frutto di un significante falso (solo perché smascherato, in caso contrario sarebbe rimasto vero).
E’ come volerci dire:
“Bravi boccaloni! Avevate paura di un cavallo a dondolo!”.
E qui scatterebbe un’altra riflessione:
Può il cinema essere un’arte libera per lo spettatore?
Sembrerebbe di no.
Nonostante la nostra volontà sia libera di decidere da che parte muovere gli occhi, sono altri a decidere quale porzione di realtà farci vedere (e con quale significato), obbligandoci ad una sorta di dittatura “testuale”, necessaria per la buona riuscita del messaggio inviato.
Le tirannie passate (e presenti) ci hanno mostrato che il cinema da questo punto di vista può realmente fare qualcosa. Non è questo il caso (ci mancherebbe), ma il concetto di “dittatura cinematografica” può comunque valere.
Sono ormai passati i tempi del Cinetoscopio di Edison, quando la visione delle immagini in movimento era solitaria e “spiabile” attraverso un pertugio, ma il principio è sempre lo stesso:
Nonostante la visione collettiva, il grande schermo non è altro che un enorme foro e quello che possiamo vedere è sempre limitato (e scelto da altri).
Certo che in alcuni casi ci si fa comandare con piacere…
Della serie "Il destino talvolta è proprio strano".
E' successo che, quasi in contemporanea, anche dalle parti del mio (cine)amico Pickpocket83 (per giunta conterraneo) si sia deciso di parlare del maestro.
Fossi in voi darei subito un'occhiata...
E' successo che, quasi in contemporanea, anche dalle parti del mio (cine)amico Pickpocket83 (per giunta conterraneo) si sia deciso di parlare del maestro.
Fossi in voi darei subito un'occhiata...
* Per Austin un atto linguistico consta di tre parti:
• Locuzione (struttura ed enunciato)
• Illocuzione (obiettivo, intenzione comunicativa)
• Perlocuzione (effetto dell'atto linguistico sull'interlocutore)
18 commenti:
Certo che se mi passi da John Rambo a questo interessante approfondimento su quel geniaccio di Bava mi spiazzi un po'! :-)
Scherzi a parte, bella analisi per una delle (numerose) perle regalateci dal regista ligure. Io mi auguro sempre una sua riscoperta da parte del grande pubblico
Ma che bel post! complimentissimi! se mi permetti, visto il valore di questo post e vista la singolare coincidenza baviana di oggi tra i nostri due blog, metto un bel link da me a questo tuo splendido post!
P.S. Io uno come Mario Bava probabilmente lo accatterei anche come dittatore, lui e nessun altro però ;-)
P.S.2 Era lo "accetterei" ovviamente, chiedo venia
una bella analisi, non c'è che dire. il finale in un certo senso sembra quasi lasciarti dell'amaro in bocca, perchè per tutto il film il regista non fa altro che trasmetterti paura (personalmente, in particolare il secondo episodio) e alla fine ti rendi conto che era tutta una farsa.. oddio, non che non lo si sapesse prima o durante la visione, però vedere la finzione con i propri occhi è tutt'altra cosa...
(chiedo scusa se non si capisce mezza parola...)
@ mr hamlin: ehm...diciamo che ho voluto provare a fare il serio! ;)
Cmq il vero appassionato di cinema deve sapersi destreggiare tra un film e l'altro!
Buona come scusa vero? ;)
@ pickpocket83: grazie mille per i complimenti!
Provvedo anch'io a gemellare il post...;)
@ mizza: Grazie!:)
L'ennesima beffa di un genio della messa in scena. Il suo cinema si è sempre basato sulla povertà di mezzi, nonostante questo i risultati sono sempre stati stupefacenti...
Grande, mio cineamico conterraneo ;-)
mi spiace non conoscere il film, ma il tuo post è davvero interessantissimo
(il segno saussuriano!!!)
grande!
Che figata il bannerino...l'ho aggiunto!
Gran bel post. Questo film è davvero bello... difficile scegliere quali dei tre episodi sia il migliore: scelgo l'immagine finale convinto dal tuo discorso ^^. karloff è sempre karloff...
Interessante e profonda riflessione. Riassumendo il significato è stato "smascherato" mostrando il procedimento, il trucco. Un possente destriero è risultato un cavallo a dondolo. La grandezza dell'immagine risiede nel tras-formare un cavallo a dondolo (profilmico?)in un meraviglioso destriero (fiction?). Fin qui tutto normale perché ci troviamo nel limbo ambiguo del falso, che è forse l'aspetto più interessante del cinema. Ma la meraviglia dell'immagine è tutta nella rivelazione del meccanismo: mostrare che il vero è il falso, ma, secondo me, mostrandolo attraverso un "altra verità". Siamo di fronte a un salto di qualità del sapere: all'inizio sapevamo qualcosa (destriero) poi abbiamo scoperto che le informazioni erano alterate (ronzino). E' il livello del sapere che conta nel cinema e in che modo questo sapere viene "distribuito". Ma poi in realtà ci si accorge che il film è la casa di un altro dove vigono le sue regole e noi siamo semplici invitati "obbligati" a giocare al gioco del padrone di casa. Sono d'accordo con te. Bava è stato grande perché ha detto che la sua storia, tutte le storie, possiedono un livello più o meno riscontrabile di menzogna e che il verosimile non è il reale ma un "abito mentale". Complimenti Filippo, un post che mi attrae (infatti mi obbligo a smettere perché ho già occupato troppo del tuo spazio)^^
Hai capito Filippo? Da Rambo a Karloff! Però è vero, hai ragione: il buon critico deve sapersi destreggiare su tutti i generi (ti aiuto nello scusarti :P).
Complimenti per l'analisi, anche se non conosco la materia trattata, ahimè :(
Ale55andra
Iluminante! E pensare che Bava diceva di sè: "Sono un cazzone, un artigiano che ha fatto per lo più stronzate"...
@ honeyboy: grazie!:)
@ flavia: brava, hai fatto BENISSIMO!;)
@ chimy: difficile davvero. Anch'io sceglierei comunque Karloff...
@ luciano: grazie per i complimenti e soprattutto per l'intervento graditissimo...
Per quanto riguarda il finale del film, ovviamente quando hanno chiesto a Bava perchè avesse usato un cavallo di legno lui ha risposto:
"Oh bella, perchè avevo solo un cavallo di legno a disposizione!"
@ ale55andra: Grazie mille!
Allora la scusa funziona...;)
@ Contenebbia: eh si.
Era anche lo stesso che si sentiva in colpa per fregare i produttori americani e che quando girava diceva:
"Non fate entrare gli americani, se no ci sputtaniamo!" :)
Come credo avrai capito, adoro Mario Bava. Il tuo post è davvero un bel tributo a un grande del cinema oggi conosciuto, o meglio apprezzato, più all'estero che in Italia.
Come avrai capito, anche da queste parti si adora parecchi Bava!;)
Grazie mille per il complimento...
Allora mi permetto di segnalarti l'uscita l'8 aprile del DVD del film. I dettagli in uno dei miei ultimi post.
grande film, è uno dei migliori del grande Bava. L'inquadratura finale è storia.
@ roberto fusco junior: ne ero al corrente (mi sa che l'ho letto proprio da te)...inutile dire che è già prenotato!;)
@ frank!!!: anche per me è uno dei migliori...
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