
In quest’ultimo periodo non si fa altro che parlare delle cosiddette “Grindhouse”. Anche se le

Hershell Gordon Lewis è un nome che può far storcere il naso alla maggior parte dei cinefili "intellettuali" e non hanno tutti i torti. Il suo è un cinema di bassa lega, sottogenere dei B-movie. Ma, quando si parla di personalità che hanno influenzato e lanciato nuovi stili cinematografici, non possiamo fare a meno di citare quest’uomo, definito giustamente “The Gorefather” (il Padrino del Gore) e che può vantare una schiera di ammiratori fedelissimi e una serie di pellicole considerate legittimamente veri e propri Cult di genere.

Dopo un primo periodo dedicato al Sexploitation (un genere che mischia con le dovute dosi sesso, trash e violenza), non contento della strada intrapresa, il regista decide di dedicarsi alla realizzazione di film che mostrino scene violente in maniera cruda e diretta. E’ il 1963 e con “Blood Feast” nasce il genere Splatter.
Il film parla del gestore di un negozio di alimentari e della sua missione, finalizzata ad imbandire un banchetto a base di carne umana per compiacere una sanguinaria dea egizia.
Inutile lodare doti registiche fondamentalmente latenti. Più opportuna invece risulta la riflessione sul coraggio di quest’uomo e su come, sfruttando comuni paure e addobbandole con litri di sangue finto e arti di plastica, sia riuscito ad entrare nello star sistem dei personaggi scomodi ma influenti.

La violenza del film (di cui è stato realizzato un seguito nel 2002, sempre ad opera di Lewis), risulta insopportabile perfino dopo quarant’anni, ma è fine a se stessa. Ia pellicola infatti non punta ad un impatto emotivo basato sul terrore, ma al puro shock visivo, risultando così poco credibile. Ed è qui che la carica innovativa del regista si manifesta con evidenza. Lewis ha stravolto i canoni emotivi del cinema horror, puntando su di un effetto a breve gittata. A differenza di un comune film del terrore, “Blood Feast” sconvolge solo durante la visione, ma non lascia turbamenti a posteriori. E’ intrattenimento quello che propone Lewis, alla stregua di un qualsiasi “Tunnel dell’Orrore” da Luna Park ed è anche per questo che il suo è un cinema fondamentalmente innocuo (se mi è permesso l’uso del termine), frutto di una reinterpretazione (seppur superficiale) del teatro Grandguignolesco.

Le sue non sono opere indispensabili da vedere, questo è certo, ma è doveroso ricordare, alle schiere di piccoli fan odierni, che prima di Tarantino, Rodriguez, Jackson, una persona ha osato sfidare i gusti e gli stomaci degli spettatori ignari dei Drive In di periferia, aprendo la strada a tutti i futuri emuli.
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