lunedì 17 settembre 2012

[Rec] Genesis, la recensione

Regia: Paco Plaza
Cast:  Leticia Dolera, Javier Botet, Diego Martín, Carla Nieto, Alex Monner. Mireia Ros, Ismael Martínez, Claire Baschet, Ana Isabel Velásquez, Xavier Ruano, Itziar Castro, Emilio Mencheta, Blai Llopis
Durata: 1h 20m
Anno: 2012

Koldo (Diego Martín) e Clara (Leticia Dolera) si sono appena sposati e sono pronti per celebrare il giorno più importante della loro vita con amici e parenti. Tutto sembra procedere nel migliore dei modi, ma durante i festeggiamenti accade l’impensabile, dando il via ad un’ondata di orrore e morte.

Premessa: chi scrive non ha particolarmente a cuore né Jaume Balagueró né Paco Plaza. Nonostante siano stati osannati da più parti come le nuove rivelazioni dell’horror spagnolo (soprattutto il primo), nel corso di questi anni hanno realizzato pellicole mediocri e senza alcun guizzo particolare, a parte il recente Bed Time. Unendo le forze qualcosa di buono sono riusciti a farlo però, dando vita ad un franchise cinematografico, quello di [Rec], che è riuscito contemporaneamente a cavalcare l’onda del momento (quella del cosiddetto “found footage”) e ad offrirci un riuscito omaggio al filone degli zombie movie.

Arrivati ad un certo punto, i due hanno deciso di separarsi e di realizzare altri due capitoli di questa saga, che avrebbero dovuto porsi cronologicamente prima e dopo gli eventi narrati. E subito qualche (legittimo) dubbio è sorto, perché fondamentalmente un po’ tutti erano giunti alla medesima conclusione, è cioè che solo lavorando l’uno di fianco all’altro Balagueró e Plaza sono in grado di raggiungere i livelli di un discreto regista.
Armati di ogni pregiudizio possibile e immaginabile, questo [Rec] Genesis è stato dunque accolto da stampa e pubblico ed molto è probabilmente a causa di quest’attitudine che il film si è rivelato, perlomeno da queste parti, una piacevole sorpresa.

Presa così com’è questa pellicola è infatti più che godibile. È solida, veloce, violenta quanto basta e, soprattutto, procede lungo la sua strada consapevole di avere dalla sua parte un pubblico che bene o male sa cosa aspettarsi.
Certo, contestualizzata all’interno della saga di cui fa parte presenta più di un difetto, prima di tutto non si può considerare un prequel a tutti gli effetti, bensì un capitolo parallelo, cosa che si intuisce da alcuni piccoli particolari; in secondo luogo, nonostante quel “genesis” presente nel titolo (un riferimento più che altro mistico in realtà), di spiegazioni riguardanti chi ha creato cosa e come non se ne vede la benché minima ombra.
Quindi il plot rimane bene o male invariato: un gruppo di persone, chiuse in un ambiente unico che devono fare i conti con il dilagarsi del virus demoniaco. Quello che cambia è l’introduzione di due eroi “romantici” che, separati dalle circostanze, sono costretti a superare mille avversità per potersi rincontrare.

Ma soprattutto cambia la messa in scena, nel senso che, a parte i primi venti minuti, la pellicola è girata in maniera classica, senza l’uso di telecamere amatoriali e senza dover per forza trovare un valido pretesto che possa motivare il perché noi ci ritroviamo a vedere il montaggio di un girato in fin dei conti “privato”.
E nell’abbandonare quest’etica è come se Paco Plaza volesse mandarci un preciso messaggio che si potrebbe riassumere in un: “Questo è il mio [Rec] e ci faccio un po’ quello che mi pare, spacchiamo quella maledetta telecamerina e via con il film!”.

A questo punto però sorge un dubbio più che legittimo: può esistere un capitolo di questa saga che usi una rappresentazione diversa? In teoria no, visto che lo stesso titolo evidenza la sua essenza found footage, ma è anche vero che queste sono riflessioni che lasciano il tempo che trovano e che non ci troviamo di fronte a quell’obbrobrio di Blair Witch 2, che non solo ha preso la distanze dall’originale in tutto e per tutto ma l’ha anche fatto nel peggiore dei modi.

Sarà anche il meno [Rec] dei [Rec], questo è vero, ma rimane pur sempre un film godibile, che non aggiunge nulla di nuovo a quanto sia già stato raccontato e che, in ogni caso, nella sua durata standard di un’ora e venti non lascia spazio alla noia.

Pubblicato su ScreenWEEK

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