mercoledì 26 ottobre 2011

Insidious, la recensione

Regia: James Wan 
Cast: Rose Byrne, Patrick Wilson, Barbara Hershey, Ty Simpkins, Lin Shaye, Angus Sampson 
Durata: 1h 43m 
Anno: 2011 

Renai e Josh (Rose Byrne e Patrick Wilson) si sono da poco trasferito con i loro tre figli in una nuova abitazione. Ambientarsi in una nuova casa molto spesso non è facile e, come se non bastasse, ecco che arriva un dramma a spezzare quel poco di armonia duramente conquistata: Dalton (Ty Simpkins), uno dei loro figli, cade accidentalmente da una scala sbattendo la testa. La situazione sembra essere sotto controllo, ma ciononostante il piccolo finisce in una sorta di coma, dal quale non riesce ad uscire. Dopo l’incidente strane cose cominciano a succedere all’interno di quell’abitazione. 


Dopo aver dato vita ad uno dei franchise horror più longevi degli ultimi anni (il riferimento è ovviamente alla saga di Saw), James Wan torna nelle nostre sale con un’opera – sempre low budget – che strizza l’occhio, in alcuni casi attingendo a piene mani, alle vecchie ghost story di una volta (Amityville Horror e Poltergeist su tutte). Nel farlo si è avvalso di un produttore che di case infestate se ne intende: Oren Peli, regista di Paranormal Activity e finanziatore dei suoi sequel. Il risultato è un’opera che, pur non essendo così memorabile, riesce a farsi voler bene. Il merito è riscontrabile nella sua stessa essenza di pellicola a basso costo, che ha spinto i realizzatori a sfruttare l’atmosfera, il più delle volte dettata dalla messa in scena e dai suoni, che si tratti della stessa colonna sonora o dell’uso di veri e propri effetti. 

Questo contribuisce a donare alla storia quell’aria tipica di un certo cinema (di genere ovviamente) realizzato a cavallo tra gli anni ’80 e i ’90, che, pur presentando storie sostanzialmente deboli, è stato in grado di regalarci momenti di puro e sano intrattenimento. Insidious è fondamentalmente questo: un’opera cosciente delle sue potenzialità e pronta a sfruttarle nel migliore dei modi, proponendoci un repertorio di cliché che comprende case (più o meno) infestate, spiriti di ogni sorta e genere, mariti scettici e mogli terrorizzate, medium anziane pronte a correre in aiuto di poveri malcapitati ed esperti di occulto trasformati in vere e proprie parentesi comiche. Il tutto addobbato ad hoc per renderlo inquietante quel tanto che basta ed evitare contemporaneamente il bavaglio della censura. 

Qualcuno potrebbe definirla una pellicola furba e non avrebbe tutti i torti del resto. Ma non è questo l’importante. L’essenziale e che, nel suo piccolo, sia in grado di funzionare.

Pubblicato su ScreenWEEK

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