venerdì 8 aprile 2011

The Next Three Days

The Next Three Days (2010, regia Paul Haggis)



La tranquilla vita del professore John Brennan (Russell Crowe) viene sconvolta il giorno in cui la polizia irrompe nel suo appartamento per arrestare sua moglie Lara (Elizabeth Banks), accusandola di omicidio. Le prove contro di lei sono schiaccianti, ciononostante John è convinto dell’innocenza della domma che ama. Il tempo passa e, mentre la moglie continua a perdere ogni speranza di poter un giorno uscire fuori dal carcere, l’uomo fa di tutto per mantenere vive le speranze e crescere il loro figlioletto Luke, che comincia a vedere la madre come una figura estranea, aumentando il suo dolore. Passati tre anni John decide di tentare il tutto per tutto, organizzando l’evasione di Lara.

Il giorno in cui Paul Haggis ha deciso di passare dietro la macchina da presa, è passato dall’essere un acclamato sceneggiatore al diventare un controverso regista, dividendo critica e pubblico e dando vita ad opere (Crash-Contatto fisico e Nella valle di Elah) considerate genuinamente toccanti e, al tempo stesso, accusate di un eccesso di sentimentalismo, il più delle volte palesemente calcolato. In questi casi – o perlomeno nella maggior parte – la verità si trova esattamente nel mezzo, ma parlarne è tanto inutile quanto banale, perciò cerchiamo di soffermarci solo ed esclusivamente sulla sua ultima fatica.

The Next Three Days, remake del francese Anything for her, pellicola del 2007 diretta dall’esordiente Fred Cavayé, è un film che fondamentalmente non dice niente di nuovo, aggiungendosi alla miriade di drammi mascherati da thriller che sono usciti negli ultimi anni e che, cascasse il mondo, continueranno ad uscire. Al centro della vicenda c’è un uomo, che chiede disperatamente e ostinatamente giustizia su un errore giudiziario che, a conti fatti, vede solo ed esclusivamente lui, e che si trova costretto ad andare avanti nonostante il carico di disgrazie che gli è piombato addosso. Partendo da questa premessa Haggis riesce ad orchestrare un’opera che regge bene ogni possibile incongruenza o forzatura, avvolgendo ogni momento di pathos (lo stesso che, sicuramente, dividerà nuovamente pubblico e critica) e calibrando in maniera sapiente la tensione, che raggiunge il culmine nel momento della tanto attesa evasione.

Se l’operazione riesce è merito sicuramente del regista, ma anche di Russell Crowe, in grado di sostenere magnificamente il peso di questa storia, proponendoci un personaggio che, allo stesso modo di quel John Nash che gli è valso una candidatura all’Oscar, è tanto imponente quanto fragile.

Pubblicato su ScreenWEEK

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