La morte della moglie ha trasformato il professor Walter Vale in una creatura priva di interessi, che vive per inerzia i suoi giorni.
Costretto a sostituire un collega ad una conferenza, l’uomo si reca a New York.
Con sorpresa scopre che il suo appartamento è stato affittato ad una coppia di immigrati, la senegalese Zainab e il siriano Tarek.
Una volta chiarito l’equivoco il professore decide di ospitare i due, fin quando non riusciranno a trovare una nuova casa.
Dopo The Station Agent, Thomas McCarthy scrive e dirige un’opera che fa della speranza il suo leitmotiv, nonostante i toni siano dei più drammatici.
Come molti altri hanno sottolineato, L’ospite inatteso è il tipico lungometraggio da festival indipendente. Una regia scarna, che lascia ampio spazio agli ambienti, quasi a voler ricordare quanto sia rara e unica la vicenda accaduta.
Degli ottimi interpreti tra i quali si ricorda Richard Jenkins, che dalle palestre dei Coen è passato a svolgere il ruolo di docente universitario alla maniera italiana, cioè svogliatamente e con scarso interesse nei confronti degli studenti.
Una cifra relativamente irrisoria per produrre il tutto, che certamente non può garantirgli lo
strombazzamento mediatico di altri titoli più fortunati.
Poco male, perché a pubblicizzare opere simili ci pensa il passaparola, che in molti casi ha saputo essere più valido di mille locandine.
Purtroppo, nonostante quello di McCarthy sia stato presentato (a bassa voce s’intende) come un capolavoro drammatico senza precedenti, non è privo di difetti.
Tutto è infatti troppo marcato all’interno della storia, troppo facile, troppo stereotipato.
Una cosa in alcuni momenti particolarmente irritante.
Ma per l’America deve aver rappresentato un vero e proprio passo da gigante e di questo dobbiamo dargliene atto.
Sicuramente è questo il motivo del grande successo in patria.
Dopo innumerevoli riflessioni sulle paranoie, i traumi, le frammentazioni di uno stato devastato dall’11 Settembre, finalmente un film intimista all’interno del quale non ci sono buoni o cattivi, ma solo personalità complementari.
E questa, nonostante tutte le critiche che si possono avanzare, è una grande conquista.
Costretto a sostituire un collega ad una conferenza, l’uomo si reca a New York.
Con sorpresa scopre che il suo appartamento è stato affittato ad una coppia di immigrati, la senegalese Zainab e il siriano Tarek.
Una volta chiarito l’equivoco il professore decide di ospitare i due, fin quando non riusciranno a trovare una nuova casa.
Dopo The Station Agent, Thomas McCarthy scrive e dirige un’opera che fa della speranza il suo leitmotiv, nonostante i toni siano dei più drammatici.
Come molti altri hanno sottolineato, L’ospite inatteso è il tipico lungometraggio da festival indipendente. Una regia scarna, che lascia ampio spazio agli ambienti, quasi a voler ricordare quanto sia rara e unica la vicenda accaduta.
Degli ottimi interpreti tra i quali si ricorda Richard Jenkins, che dalle palestre dei Coen è passato a svolgere il ruolo di docente universitario alla maniera italiana, cioè svogliatamente e con scarso interesse nei confronti degli studenti.
Una cifra relativamente irrisoria per produrre il tutto, che certamente non può garantirgli lo
strombazzamento mediatico di altri titoli più fortunati.
Poco male, perché a pubblicizzare opere simili ci pensa il passaparola, che in molti casi ha saputo essere più valido di mille locandine.
Purtroppo, nonostante quello di McCarthy sia stato presentato (a bassa voce s’intende) come un capolavoro drammatico senza precedenti, non è privo di difetti.
Tutto è infatti troppo marcato all’interno della storia, troppo facile, troppo stereotipato.
Una cosa in alcuni momenti particolarmente irritante.
Ma per l’America deve aver rappresentato un vero e proprio passo da gigante e di questo dobbiamo dargliene atto.
Sicuramente è questo il motivo del grande successo in patria.
Dopo innumerevoli riflessioni sulle paranoie, i traumi, le frammentazioni di uno stato devastato dall’11 Settembre, finalmente un film intimista all’interno del quale non ci sono buoni o cattivi, ma solo personalità complementari.
E questa, nonostante tutte le critiche che si possono avanzare, è una grande conquista.
Pubblicato su Livecity.it
5 commenti:
Mi incuriosisce molto questo film e spero di riuscire a vederlo presto. Conservo un buonissimo ricordo di "The Station Agent".
Ciao,
Lore
io forse nutrivo troppe aspettative...
Uno dei prossimi che recupererò, insieme a Racconto di Natale e molti altri.
Ale55andra
Questo lo vorrei proprio vedere!!!!ma dubito riuscirò....
MrDavis
filippppppp sono antonio ecco il mio post.....ho visto sto film proprio l'altro giorno!!!!!be effetivamente è un film che ti lascia proprio un vuoto anche perchè quella fine così te l aspettavi???tuttavia stilisticamente non c'è granchè ma di contenuti tanti!!!sarà che in quella città ci ho un pò vissuto....ciao fili complimeni per il blogggggggeeeeee
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