Esiste un poster famosissimo, diventato il simbolo di tutti gli ufologi mondiali. Anche cinema e televisione lo hanno citato (per farvi un piccolo esempio, posso dirvi che appariva nello studio di uno dei più famosi agenti dell’FBI degli anni ’90, Fox Mulder).
Questo manifesto, raffigurante la foto (o presunta tale) di un ufo, riporta nella sua parte inferiore la scritta: “ I want to believe”.
Non è una frase banale come può sembrare. L’incertezza racchiusa al suo interno è il simbolo della fragilità umana, la cui principale preoccupazione (sin dall’inizio dei tempi) è stata (ed è tuttora) quella di riuscire a dare una spiegazione a tutte quelle cose incomprensibili che ci accompagnano durante la nostra esistenza (e non solo).
“Non ne ho la certezza, ma voglio crederci”, perché questo forse può aiutarmi a dare un senso a tutto ciò che mi circonda, può aiutarmi a trovare le risposte che sto cercando.
Nel 1977 un film si è fatto portavoce di questo motto, sconvolgendo la critica e gli spettatori di tutto il mondo. C’è stato chi addirittura ha visto in Spielberg un profeta, credendo che gli eventi narrati nella storia, fossero frutto di realtà prossime all’avverarsi.
La verità è che con “Incontri ravvicinati del terzo tipo” questo regista è riuscito a fare molto più di quella che era la sua principale intenzione. E’ riuscito a trasmettere un intramontabile messaggio di speranza, facendoci credere, oggi come allora, che non siamo soli in questo universo, ma non dobbiamo preoccuparci.
Andando oltre l’estetica fantascientifica, Spielberg compone il suo apologo sulla fede e lo fa stupendoci nel più meraviglioso dei modi.
Tra le mille luci dell’immensa astronave aliena, scandite in uno scarno motivetto di poche note, ci sono la curiosità e la speranza. L’una caratteristica infantile, l’altra adulta. E non è un caso che i principali protagonisti di questa storia siano un bambino e un uomo. Rappresentano ognuno di noi, la nostra dualità.
E’ per questo che ogni volta che si rivede un film simile, allo spettatore non è concesso il privilegio del dubbio. Premendo sui nostri più comuni desideri infantili, il regista è riuscito ad infondere in noi quella piccola porzione di fiducia necessaria (e poco importa che occupi la durata di un film).
Se ne sentiva il bisogno allora e lo si sente ancora oggi.
Questo è il motivo per cui “Incontri Ravvicinati del terzo tipo” è una storia senza tempo e difficilmente non rimarrà tale.
“È passato un quarto di secolo da quando uscì Incontri ravvicinati del terzo tipo e, con mia grande delusione, gli extraterrestri non sono ancora qui. Nel 1977 volammo a Parigi in un gruppo di giornalisti per assistere alla prima del film e incontrare Spielberg che sembrava sul punto di rivelarci qualche segreto interplanetario. Fu il timore di rendermi ridicolo che mi trattenne dal chiedergli: “Insomma, secondo lei, quando arrivano?”. Non so che impressione farà a voi vedere o rivedete questo film diverso da tutti, ma ogni volta per me è come se anticipasse in chiave di fantasticheria qualcosa che fatalmente interverrà a cambiare il corso della storia umana.”
Tullio Kezich
martedì 26 giugno 2007
Incontri ravvicinati del terzo tipo
Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977 , regia Steven Spielberg)
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4 commenti:
L'ho visto pochi giorni fa, la prima volta ero un bambino, eppure a 30 anni di distanza dall'uscita nei cinema e' ancora un film da seguire fino all'ultimo minuto.
anch'io l'ho visto la prima volta da bambino...rivederlo ora è tutta un'altra cosa...
Oltre la fantascienza. Uno dei più bei sogni su pellicola, mai realizzati. Coinvolgente, commovente. E vedere Truffaut in una veste, diciamo inedita, é qualcosa di unico.
Byez
che dire...d'accordissimo. Meno male che l'ho riscoperto questo film...penso che veramente abbia segnato un epoca...
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