venerdì 18 maggio 2007

Il grande sonno

Il grande sonno (1946 , regia Howard Hawks)


Philip Marlowe ha i duri lineamenti di Humprey Bogart, è un ex poliziotto, ora investigatore privato in una monocromatica Los Angeles. Accetta l’incarico affidatogli da un vecchio milionario, appassionato di piante, dedito a godere dei vizi altrui a causa di una salute cagionevole. Deve indagare a proposito di un ricatto ai danni della figlia minore del facoltoso uomo. L’altra sorella, la più grande, ha il viso glaciale di Lauren Bacall. E’ interessata a ritrovare un amico del padre, con l’aiuto di Marlowe s’intende.
Il film di Howard Hawks non è stato il primo ad ispirarsi alle opere di Raymond Chandler e non può considerarsi certamente un opera riuscita dal punto di vista narrativo. La trama infatti è un intricato gioco di scatole cinesi, difficile da interpretare (anche per gli stessi attori, che dopo le riprese confessarono di non aver compreso appieno la storia).
E’ l’atmosfera la vera protagonista del film. Una perfezione stilistica che sopperisce alle lacune della sceneggiatura, rendendo superflua la narrazione (strano a dirsi), esaltando un’estetica della rappresentazione che rasenta (toccando in alcuni casi) la più totale perfezione.
Dopo la visione, è l’immagine a dominare il pensiero dello spettatore. Flashback concreti, muti. Merito di una regia classica e fluida, che scandisce sapientemente i tempi dell’azione rendendoli un tutt’uno. Noi spettatori riusciamo ad anticipare gli avvenimenti in maniera naturale, grazie ad un saggio uso della telecamera che fa dell’impersonalità la sua ragione rappresentativa (ricordando John Ford e la sua propensione per una regia non esibita).
Humprey Bogart si muove all’interno degli ambienti, sinuoso e lento come una pantera, flirta con avvenenti comparse, dando luogo a impliciti giochi erotici alquanto arditi per i tempi, ma fondamentali per l’opera.
“Il grande sonno” infatti è un’esaltazione dell’erotismo, della sensualità. Tutto profuma di sesso all’interno del film. Una carica inerte, assopita, ma palpabile in ogni inquadratura e che trova sfogo nella gelida avvenenza di Lauren Bacall, elevata a icona della sessualità letargica.
All’interno di una non trama, si muove Bogart, qui nella parte di un non personaggio.
Marlowe non esiste, soccombe sotto il carisma dell’attore, che per tutta la pellicola non interpreta, ma afferma la sua identità individuale.
Bogart interpreta se stesso, diventando stereotipo ed entra nella leggenda, portando con se il film nella sua totalità.




4 commenti:

Anonimo ha detto...

Che uomo...

FiliÞþØ ha detto...

personalmente lo adoro, caratteristi simili non esistono più, come anche le atmosfere che la cinematografia anni 40/50 ha saputo creare...assolutamente affascinanti...

Anonimo ha detto...

bellissima recensione, per un film a dir poco immortale

FiliÞþØ ha detto...

Hai proprio ragione, Immortale è un termine quasi riduttivo per questo film...

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