Fahrenheit 451 è la temperatura a cui brucia la carta. Questo numero è segnato sulle divise dei pompieri del futuro, che non spengono incendi ma li creano. Roghi di libri, giornali, perché in questo triste avvenire la scrittura è proibita, mortificata, allontanata, considerata causa di isolamento e tristezza. I libri illudono gli uomini e perciò sono inutili, ma si sa che il proibizionismo, benché letterario, crea sempre correnti clandestine e invoglia a trasgredire. Così succede a Montag, pompiere tra i più solerti, che dopo l’incontro con la giovane istitutrice Clarissa cade in tentazione, scoprendo che dietro ogni libro c’è una vita, una testimonianza, una volontà di parlare alle future generazioni. Quanto tempo ha perso Montag, e quanta volontà di recuperarlo.
Tratto da un celebre romanzo di Ray Bradbury, “Fahrenheit 451” comincia sin dai titoli di testa, non scritti ma parlati, ad introdurci in un mondo impossibile, dove l’unica forma di scrittura è rappresentata dai numeri.
Una profonda riflessione su come l’uomo non può sopravvivere senza uno dei più basilari e antichi mezzi di comunicazione. Nel film si dice che la lettura, intristisce, isola l’uomo, lo porta a fantasticare su cose irrealizzabili. Ma la vera insolazione è un’altra, ed è quella di un popolo vuoto, immemore della sua storia, illuso di vivere e di far parte di un grande sistema.
La moglie di Montag parla con la sua televisione, convinta di essere ascoltata, contenta della sua piccola realizzazione personale che, tra le miriadi di pillole trangugiate, la fa sentire una privilegiata.
In questo mondo la differenza tra chi è omologato e chi no è abissale. La catatonia comune a chi segue la legge fa da amplificatore ai trasgressori, che spiccano per la loro curiosità e per la loro vivacità.
Truffaut non amava particolarmente questo film, ma il risultato ottenuto è più che dignitoso. Una trama sempre attuale, raccontata con l’aiuto di una bellissima fotografia.
Tratto da un celebre romanzo di Ray Bradbury, “Fahrenheit 451” comincia sin dai titoli di testa, non scritti ma parlati, ad introdurci in un mondo impossibile, dove l’unica forma di scrittura è rappresentata dai numeri.
Una profonda riflessione su come l’uomo non può sopravvivere senza uno dei più basilari e antichi mezzi di comunicazione. Nel film si dice che la lettura, intristisce, isola l’uomo, lo porta a fantasticare su cose irrealizzabili. Ma la vera insolazione è un’altra, ed è quella di un popolo vuoto, immemore della sua storia, illuso di vivere e di far parte di un grande sistema.
La moglie di Montag parla con la sua televisione, convinta di essere ascoltata, contenta della sua piccola realizzazione personale che, tra le miriadi di pillole trangugiate, la fa sentire una privilegiata.
In questo mondo la differenza tra chi è omologato e chi no è abissale. La catatonia comune a chi segue la legge fa da amplificatore ai trasgressori, che spiccano per la loro curiosità e per la loro vivacità.
Truffaut non amava particolarmente questo film, ma il risultato ottenuto è più che dignitoso. Una trama sempre attuale, raccontata con l’aiuto di una bellissima fotografia.
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