venerdì 23 febbraio 2007

Bobby e JFK






Il silenzio rotto
Dopo aver visto “Bobby” mi è subito tornato in mente un altro film, sicuramente molto più scomodo di quello di Emilio Estevez. “JFK” pellicola del 1991 diretta da Oliver Stone, sofisticata trasposizione cinematografica di un libro, quello scritto dal procuratore distrettuale Garison, che ancora oggi fa discutere. Lasciando perdere il collegamento scontato che vede al centro dei due film i due sfortunati fratelli, non penso che si possano trovare altri punti di contatto tra le due pellicole. “JFK” è una provocazione, un film documentaristico (o documentario travestito da film?) nato con il preciso intento di smuovere le acque per far luce su una vicenda, quella riguardante l’omicidio di John Kennedy, che presentava non poche incertezze. E le acque le ha smosse, eccome! La pellicola mette alla berlina tutte quelle cose che la commissione d’inchiesta sull’omicidio Kennedy aveva omesso o tenuto nascoste, cose vere, provate e mai smentite.

Sete di verità
L’uscita del film, riaccese nella popolazione americana una sete di verità e di giustizia, che mise il governo con le spalle al muro. A Washington si tenne un’udienza del congresso (alla quale partecipò lo stesso Stone), il cui argomento principale era la pubblicazione dei documenti riguardanti l’attentato avvenuto a Dallas. Documenti che senza il film, e lo scandalo creato, sarebbero rimasti segreti fino al 2029. Dopo l’udienza venne creata una nuova agenzia federale, il cui compito era quello di riesaminare quei fogli per eliminare le eventuali censure applicate dalla commissione precedente.
L’intento di Stone era questo, missione compiuta. “JFK” resta comunque un’opera di indiscutibile fascino e ancora oggi dopo averlo visto non lascia indifferenti.



Riflessione sul presente
“Bobby” non è un opera di denuncia, ma un opera profondamente commemorativa, che sceglie la pluralità narrativa al posto dello stile documentaristico. Entrambe sono opere di rabbia, ma se il film di Stone nasce dalla rabbia provocata da una sete di verità, quello di Estevez nasce dalla collera nei confronti del presente e da una profonda sfiducia riguardo l’andamento mondiale. Lo si capisce dai discorsi di Bob Kennedy, inseriti nel film, e dalla disperazione provata dai protagonisti nel finale.
La guerra nel Vietnam, che ha occupato in maniera rilevante la vita dei due fratelli, assume in “Bobby” un valore metaforico, diventando immagine delle guerre odierne. “Hanno creato un deserto e lo chiamano pace”, è quasi impossibile non trovare in queste parole, dette più di trent’ anni fa, analogie con la presente situazione in Iraq. Inevitabile è anche il paragone tra il pacifista Bobby e il presidente guerriero Bush, cui sicuramente non sentiremo mai dire parole come queste :
“Sono convinto che possiamo lavorare tutti insieme. Siamo un grande paese, un paese altruista e compassionevole!”
E questo è proprio il caso di dire:
PURTROPPO!

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