Emilio Estevez, 45 anni, figlio di Martin Sheen confeziona un film commemorativo ma non documentaristico.1968. Il mondo è sconvolto dalle conseguenze che sta avendo la guerra in Vietnam. In America si stanno svolgendo le elezioni per le primarie democratiche in California. La gara è tra Bob Kennedy, fratello del presidente ucciso a Dallas, e Eugene McCarthy. Intanto, all’hotel Ambassador, dove Kennedy deve tenere un discorso in serata, si incrociano le vite di decine di persone, testimoni involontari di una tragedia imminente.
Film corale, che richiama le pellicole di Altman, “Bobby” riesce a toccare l’animo nel profondo.
Per celebrare la figura di quest’importante uomo politico, il regista sceglie la voce delle persone comuni, che sperano in una vittoria del candidato perché forse è veramente l’unico che può cambiare le cose.
La loro vita è più esplicativa di mille documentari, tutti in un modo o nell’altro ripongono le speranze, le ultime, in quest’uomo.
Abbiamo il cuoco saggio (Laurence Fishburne), cosciente del fatto che “ora che King è morto, è rimasto solo Bobby”. La giovane ragazza altruista (Lindsay Lohan), che sposa un compagno (Elijah Wood) solo per evitargli la guerra. La parrucchiera (Sharon Stone) in crisi con il marito. Il portiere meditabondo (Anthony Hopkins). La cantante alcolizzata (Demi Moore), e tante altre storie che si intrecciano, per poi unirsi nel drammatico epilogo.
Guardando il film, che scorre con una fluidità assoluta, non si possono evitare i paragoni con il presente, che sembra tanto simile a quel 1968. Nelle parole di Bobby, che riesce ancora a parlarci, si trova un messaggio di pace, un’invocazione ad aggiustare la situazione mondiale. Ascoltarle non è per niente confortante. Se a più di trent’anni di distanza sono ancora valide, viene da pensare che allora il cuoco saggio ha veramente ragione. Ora che Bobby è morto, chi rimane?
Film corale, che richiama le pellicole di Altman, “Bobby” riesce a toccare l’animo nel profondo.
Per celebrare la figura di quest’importante uomo politico, il regista sceglie la voce delle persone comuni, che sperano in una vittoria del candidato perché forse è veramente l’unico che può cambiare le cose.
La loro vita è più esplicativa di mille documentari, tutti in un modo o nell’altro ripongono le speranze, le ultime, in quest’uomo.
Abbiamo il cuoco saggio (Laurence Fishburne), cosciente del fatto che “ora che King è morto, è rimasto solo Bobby”. La giovane ragazza altruista (Lindsay Lohan), che sposa un compagno (Elijah Wood) solo per evitargli la guerra. La parrucchiera (Sharon Stone) in crisi con il marito. Il portiere meditabondo (Anthony Hopkins). La cantante alcolizzata (Demi Moore), e tante altre storie che si intrecciano, per poi unirsi nel drammatico epilogo.
Guardando il film, che scorre con una fluidità assoluta, non si possono evitare i paragoni con il presente, che sembra tanto simile a quel 1968. Nelle parole di Bobby, che riesce ancora a parlarci, si trova un messaggio di pace, un’invocazione ad aggiustare la situazione mondiale. Ascoltarle non è per niente confortante. Se a più di trent’anni di distanza sono ancora valide, viene da pensare che allora il cuoco saggio ha veramente ragione. Ora che Bobby è morto, chi rimane?
Nessun commento:
Posta un commento