Presenti da più di 80 anni sul grande schermo, i morti viventi, meglio conosciuti come zombi, non sembrano avere alcuna voglia di andarsene. Come potrebbero del resto? Loro stessi rappresentano, al di là delle numerose connotazioni politiche che gli sono state attribuite nel corso degli anni, l’attaccamento ad un qualcosa (la vita) in grado di andare oltre la fine di ogni cosa terrena.
Allo stesso modo dei loro protagonisti i cosiddetti “zombie movie” non sono mai morti, si sono evoluti nel corso del tempo, espandendosi come un virus e penetrando all’interno di ambienti diversi, come la televisione e la letteratura.
World War Z, The Walking Dead, Orgoglio e Pregiudizio e Zombie, sono solo alcuni recenti esempi di come i morti viventi siano riusciti a penetrare nel cinema, nella televisione e nella letteratura.
Eppure, alla loro prima apparizione sul grande schermo, gli zombi erano molto diversi.
Il primo film ad affronte l’argomento risale al lontano 1932. Si tratta de L’isola degli Zombi (titolo originale White Zombie), diretto da Victor Halperin e interpretato dal grande Bela Lugosi, reduce del successo del Dracula di Tod Browning. Una pellicola che, rivista oggi, può risultare ingenua e che presenta una figura di zombi decisamente diversa da quella che il pubblico più giovane, cresciuto a pane Resident Evil, potrebbe aspettarsi, che trae la sua ispirazione dalla tradizione culturale del voodoo haitiano. Nonostante l’incedere lento ed inesorabile e l’apparente invulnerabilità alle armi da fuoco, i “morti viventi” vivono in una sorta di trance, sospesi tra la vita e la morte (un tema che è stato anche affrontato in epoca recente da Wes Craven nel suo Il Serpente e l’Arcobaleno).
Un ulteriore passo avanti, sicuramente caratterizzato da una maggiore classe, si nota in Ho camminato con uno zombie, pellicola del 1943 diretta da Jacques Tourneur e prodotta dalla RKO Pictures. A differenza della Universal Pictures, che ha sfornato alcuni dei più famosi classici del cinema di genere, la RKO, che per le opere legate al cinema horror si affidava alla produzione di Val Lewton, non aveva a disposizione alti budget, ma è riuscita a fare di necessità virtù, proponendoci dei film all’interno dei quali è l’atmosfera a regnare sovrana e la paura è dettata dal non visto.
La sua incursione nel mondo degli zombi l’ha fatta anche Ed Wood, il peggior regista che il cinema abbia mai conosciuto, con il famosissimo Plan 9 from Outer Space, considerato da molti – e a ragione – il film più brutto della storia del cinema, caratterizzato da un’ingenuità tale che risulta quasi impossibile non volergli un po’ di bene. Fondendo la cultura voodoo con il cinema fantascientifico, questa pellicola racconta la storia di uno strampalato gruppo di extraterrestri, che per soggiogare la razza umana decide di riportare in vita i morti. A questo film, e più in generale a tutta l’opera di questo regista, Tim Burton ha dedicato una pellicola, Ed Wood, nel 1994.
Ma è verso la fine degli anni ‘60 che, come si suol dire, si comincia a fare sul serio. È proprio in quegli anni che un regista appena 27enne decide, con l’aiuto di alcuni amici e colleghi, di realizzare un horror in grado di andare oltre tutto quello che il cinema di genere del periodo era in grado di offrire. Una pellicola estrema, capace di riflettere il caos e le incertezze di un’intera società, trapiantando l’orrore all’interno di quelle istituzioni, come la famiglia, considerate sacre. Quell’uomo era George A. Romero.
Con un budget limitatissimo e dei tempi di riprese dilatati all’inverosimile, sfruttando i weekend e i ritagli di tempo, questo regista ha girato nel 1978 una delle pietre miliari della storia del cinema horror (e non solo): La Notte dei Morti Viventi. Una pellicola che si è posta come spartiacque, creando una figura di morto vivente (la parola “zombi” non viene mai citata all’interno di questa storia) che è durata fino ad oggi, evolvendosi sotto certi aspetti ma fondamentalmente rimanendo fedele a sé stessa.
Nessun trance, i morti questa volta riemergono sul serio dal loro sonno eterno (per cause non meglio specificate) e si presentano di fronte alla macchina da presa decomposti e, soprattutto, affamati di carne umana!
Romero continuerà per lungo tempo a raccontarci le storie di un pianeta, il nostro, sconvolto da questa nuova piaga, con una serie di sequel che seguiranno un’evoluzione costante, arrivando nel 2005, con La Terra dei Morti Viventi, ad un vero e proprio ribaltamento dei ruoli, molto vicino alla storia raccontata nel romanzo Io sono Leggenda di Richard Matheson (che il regista ha sempre citato tra le sue fonti di ispirazione).
È in Italia cos’è successo? Anche noi abbiamo la nostra tradizione di zombie movie che, per certi versi, ha dettato delle regole e ispirato pellicole come Planet Terror di Robert Rodriguez. Tralasciamo titoli a loro modo importanti, come Roma contro Roma e Io zombo, tu zombi, lei zomba, e soffermiamoci su quel nome che ha reso glorioso il cinema horror italiano, proponendo un tipo di morto vivente in grado di fondere il tema del voodoo con le atmosfere di Romero: il compianto Lucio Fulci.
Con i suoi horror ricchi di barocchismi, votati più alla suggestione delle immagini che alla trama, questo regista è riuscito ad imporsi all’attenzione di tutto il mondo, proponendo pellicole che, come troppo spesso accade, sono considerate più all’estero che in patria.
Si parlava di film che da un certo punto di vista hanno dettato le regole di un genere, definizione che si addice alla perfezione a Zombi 2, pellicola datata 1979, che rappresenta la prima esperienza con il cinema di genere per Fulci, che prima di allora aveva diretto prevalentemente commedie e thriller.
Un cult movie per eccellenza, particolarmente adorato dallo stesso regista (che l’ha definito “un horror artaudiano”).
Sfruttando il successo ottenuto da Zombi di George Romero, con il quale non ha niente a che fare a parte il nome, Lucio Fulci è riuscito a concretizzare una nuova visione del morto vivente, che questa volta assume le fattezze di un essere decisamente più ripugnante rispetto a quelli apparsi all’interno dei precedenti film di questo filone. Il merito è anche degli splendidi effetti speciali di Giannetto De Rossi, che ha collaborato in più di un’occasione con questo regista dando vita a scene di estrema violenza, che continuano ancora oggi ad essere omaggiate.
Fulci ha continuato ad affrontare tematiche simili in pellicole come Paura nella città dei morti viventi e …E tu vivrai nel terrore! L’aldilà, diventando un esempio per altri registi, sempre italiani, che in quegli anni si sono cimentati con il genere, con risultati altalenanti. Se da un lato ci sono infatti pellicole che sarebbe meglio dimenticare, come Zombi Holocaust di Marino Girolami, è anche vero che ce ne sono altre, come Zeder di Pupi Avati, che si ricordano con estremo piacere.
Una di queste è Incubo sulla città contaminata, diretta nel 1980 da Umberto Lenzi. Anche se in questo caso non si tratta di veri e propri zombi (i mostri sono in realtà esseri umani colpiti da radiazioni), questo titolo è stato il primo ad inserire una piccola e ulteriore variante all’interno degli zombie movie, ispirando pellicole come 28 Giorni Dopo di Danny Boyle. All’interno di questo film, infatti, i morti viventi sono esseri agili, aggressivi, veloci nei movimenti.
Quelle di cui abbiamo parlato finora sono, bene o male, pellicole nei confronti delle quali tutti gli zombi movie recenti sono in qualche modo debitori.
Negli ultimi tempi i morti viventi hanno trovato una nuova vita sul grande schermo, grazie a titoli come [Rec], La Horde, Resident Evil (in questo caso anche il videogioco da cui è tratto il film deve molto alle opere citate durante questo percorso). Esistono poi pellicole che hanno contaminato ulteriormente il genere, fondendolo con la commedia, come L’alba dei morti dementi e il più recente Warm Bodies.
Lenti e inesorabili gli zombi hanno invaso anche il piccolo schermo, comparendo in serie televisive come il già citato The Walking Dead e Dead Set, che ha inserito queste figure in una dimensione più che mai attuale: la casa del Grande Fratello.
Una strada lunga, che durerà per molto tempo ancora. Del resto se non li ha fermati la morte chi altro potrebbe farlo?
Pubblicato su ScreenWEEK
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