mercoledì 19 dicembre 2012

V/H/S, la recensione

Regia: David Bruckner, Glenn McQuaid, Joe Swanberg, Ti West, Adam Wingard, Radio Silence
Cast: Joe Swanberg, Adam Wingard, Sophia Takal, Kate Lyn Sheil, Calvin Lee Reeder, Lane Hughes, Hannah Fierman, Mike Donlan, Joe Sykes, Drew Sawyer, Jas Sams, Drew Moerlein, Jason Yachanin, Helen Rogers, Chad Villella, Kentucker Audley, Matt Bettinelli-Olpin, Tyler Gillett, Paul Natonek, Nicholas Tecosky
Durata: 1h 33m
Anno: 2012

Le premesse per fare una buon film di genere c’erano tutte: la volontà di creare una storia ad episodi, diretti da altrettanti registi, che riprendesse le atmosfere di altri titoli simili legati al passato; un’operazione revival ulteriormente aiutata dal fatto che ogni episodio dovesse presentarsi come i vecchi videotape, che ogni appassionato cresciuto negli anni ’80 ricorda con un pizzico di malinconia; l’estetica tipica delle pellicole cosiddette “found footage” (quelle finte amatoriali, tanto per intenderci), che affettivamente in un progetto del genere ha un suo perché, anche se, questo va detto, le “telecamerine” hanno avuto un periodo d’oro che sembra ormai essere tramontato.

Armati dunque di aspettative non tendenti al miracolo, ma piuttosto ad un risultato discreto (come peraltro lo erano la maggior parte di quelle pellicole realizzate tra gli anni ’80 e ‘90) abbiamo visto questo V/H/S, presentato nella sezione “Raporto Confidenziale” del Torino Film Festival e introdotto da Justin Martinez, membro del collettivo Radio Silence e regista dell’ultimo frammento che compone quest’opera. Le aspettative però sono state ampiamente deluse.
Mettendo da parte il pretesto che fa da collante al tutto (un gruppo di criminali che, per portare a termine un incarico, si trova costretto a visionare una serie di vecchie videocassette), tutto sommato trascurabile, diciamo subito che V/H/S porta all’estremo il rischio che ogni progetto ad episodi porta al suo interno: un’opera così variegata non potrà mai essere del tutto riuscita, proprio perché ogni segmento non sarà mai riuscito quanto l’altro.

Il problema in questo caso è che difficilmente si riesce a raggiungere la sufficienza complessiva. Questo è dovuto in parte all’estetica del film (i pretesti per motivare il fatto che, anche nelle situazioni più disperate, i protagonisti continuino a filmare ogni evento si sono esauriti a tal punto che nemmeno ci si sforza di dare un senso, tranne che nel capitolo finale) e in parte al fatto che le stesse storie non sono coinvolgenti.
Qualche colpo ben assestato c’è, sia chiaro, ma se le vostre aspettative sono quelle di trovarsi di fronte ad un nuovo Creepshow rimarrete decisamente delusi. A questo punto tanto vale seguire il consiglio dato e andare sul sicuro, recuperando qualche vecchia VHS che giace lì impolverata sui vostri scaffali.

Pubblicato su ScreenWEEK

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