giovedì 25 agosto 2011

Specie mortale, la recensione

Regia: Roger Donaldson 
Cast: Ben Kingsley, Michael Madsen, Alfred Molina, Forest Whitaker, Marg Helgenberger, Natasha Henstridge, Michelle Williams, David Jensen 
Durata: 1h 48m 
Anno: 1995 

Verso la prima metà degli anni ’90 il cinema americano stava attraversando una fase che si potrebbe benissimo definire “febbre da grafica digitale”. Terminator 2 di James Cameron aveva dimostrato al mondo quanto software e settima arte potessero andare d’accordo e alleggerire – in alcuni casi facilitare – il lavoro dei cosiddetti make-up artist. Cavalcando questa moda, nel 1995 fa il suo ingresso nelle sale statunitensi uno degli alieni più belli e sensuali mai comparsi sul grande schermo: Natasha Henstridge, qui alla sua prima (svestita) apparizione cinematografica. 


Il film in questione è Species (questo il titolo originale), diretto da un regista senza infamia e senza lode come Roger Donaldson e interpretato da una cast degno delle migliori occasioni, che può vantare nomi del calibro di Ben Kingsley, Michael Madsen, Alfred Molina, Forest Whitaker e Marg Helgenberger, tutti interessati a catturare una creatura metà aliena e metà umana, fuggita al controllo della scienza pronta a seminare vittime lungo il suo cammino. 
Specie mortale è quello che si potrebbe definire “un buon prodotto di genere”: ben girato, seppur privo di qualsiasi guizzo registico; ben interpretato da un gruppo di giovani attori destinati ad un grande futuro (tra cui anche una giovanissima Michelle Williams) e caratterizzato da una storia classica ma decisamente avvincente. 
Quello che al giorno d’oggi potrebbe farlo sembrare particolarmente ingenuo risiede proprio in quella che, al tempo della sua uscita, si era rivelata una delle sue carte vincenti, se non la principale (a tal punto da valergli più di un riconoscimento): gli effetti speciali. Ovviamente il riferimento è solo ed esclusivamente nei confronti di una CGI agli albori, datata e decisamente finta, in grado di rendere artificiosi i momenti di massima intensità, soprattutto nel finale. 

Ciononostante ci troviamo di fronte ad una pellicola molto godibile, che presenta più di un momento azzeccato e che può vantare la collaborazione del genio di H. R. Giger, che si è occupato, come fatto in passato per l’Alien di Ridley Scott, del dare una forma alla letale creatura aliena conosciuta con il nome di Sil. A questo aggiungeteci lo sguardo impassibile di Michael Madsen, qui impegnato a fare ciò che più gli riesce: il duro. Una formula decisamente vincente, a tal punto da dare luogo a ben tre sequel.

Pubblicato su ScreenWEEK

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