sabato 11 giugno 2011

Priest, la recensione

Regia: Scott Charles Stewart
Cast: Paul Bettany, Cam Joslin Gigandet, Maggie Denise Quigley, Karl Heinz Urban, Lily Collins, Stephen Moyer, Mädchen Amick, Christopher Plummer, Brad Dourif, Alan Dale
Durata: 1h 27m
Anno: 2011

La guerra tra umani e vampiri ha trasformato il mondo del futuro in una terra buia e desolata. La Chiesa, che ormai detiene il potere, ha istituito un ordine di super preti guerrieri, addestrati per combattere il nemico assetato di sangue. Una volta sconfitta la minaccia, però, non c’è stata nessuna gloria per questi combattenti, che si sono ritrovati a vivere tra la gente completamente ignorati, quasi non esistessero. Da questo conflitto il mondo ne è uscito diviso in due: da una parte c’è il territorio dominato da questa nuova Chiesa, che costringe gli abitanti alla devozione; dall’altra ci sono terre selvagge, dove vige la legge de più forte. All’interno di questo contesto facciamo la conoscenza di uno di questi ex preti guerrieri (Paul Bettany), che decide di tornare a combattere, contro il volere del Clero, in seguito al rapimento della nipote, catturata da quei vampiri che si credevano ormai del tutto sterminati.


Dopo averci fatto capire con il suo Legion che gli angeli sono sì creature gentili, ma che all’occorrenza sono anche in grado di menarle di santa (mai aggettivo fu più azzeccato) ragione, ecco che torna Scott Charles Stewart, con una storia che, tanto per rimanere in tema, dissacra nella maniera più tamarra (ma certamente non irrispettosa) possibile la Chiesa e alcuni argomenti che le gravitano attorno. Nel farlo ha scelto ancora una volta come protagonista Paul Bettany, che per l’occasione ha messo da parte le ali e sfoggiato una tonaca dalle tinte fortemente dark.
Priest, pellicola ispirata all’omonimo fumetto del coreano Hyung Min Woo, è una pellicola che attinge a piene mani da una serie di generi e titoli di culto decisamente più riusciti: si va dalle atmosfere cupe e oscure del Blade Runner di Ridley Scott, al clima post apocalittico tipico del Mad Max di George Miller; il tutto immerso all’interno di un’estetica tipica da film western e condita di quel gusto per la rappresentazione, soprattutto nelle scene d’azione, che si potrebbe definire “alla Matrix”.
Il risultato è un polpettone che sarebbe anche stato in grado di essere facilmente digeribile, se solo non avesse preteso di prendersi così tanto sul serio. Praticamente lo stesso difetto del precedente Legion, che ha cercato di dare spessore ad una storia che vede muoversi al suo interno arcangeli provvisti di armi automatiche.

Un vero peccato, perché, a conti fatti, questo Priest presenta più di uno spunto interessante, soprattutto per quanto riguarda la rappresentazione di una Chiesa “moderna “che, sebbene scontata, riesce a fare il suo effetto. Nelle mani di un regista navigato e, soprattutto, ruvido come John Carpenter ne sarebbe facilmente uscito un ottimo film di genere. Non è così per Scott Charles Stewart che, pur regalandoci una cornice suggestiva, sembra sbagliare continuamente i tempi e gli stati emotivi, trasformando il solenne in patetico e il grottesco in ridicolo.

Quello che rimane è una pellicola che scorre liscia come l’olio, ma che, una volta terminata, non lascia alcuna traccia di sé.

Pubblicato su ScreenWEEK

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