lunedì 17 ottobre 2011

Melancholia, la recensione

Regia: Lars Von Trier 
Cast: Kirsten Dunst, Kiefer Sutherland, Charlotte Gainsbourg, Udo Kier, Charlotte Rampling, Alexander Skarsgård, Stellan Skarsgård, John Hurt, Brady Corbet 
Durata: 2h 16m 
Anno: 2011 

È il giorno delle nozze per la giovane e bella Justine (Kirsten Dunst). Sua sorella Claire (Charlotte Gainsbourg) e il cognato John (Kiefer Sutherland) le hanno organizzato un matrimonio perfetto, programmato minuto dopo minuto. Ma le cose non sembrano andare per il verso giusto. Durante i festeggiamenti la sposa è spesso assente, sia mentalmente che fisicamente. C’è qualcosa che la turba e tutto sembra essere collegato ad un minaccia che sta incombendo sulla Terra, rappresentata da un pianeta, chiamato Melancholia, che si sta avvicinando in maniera sempre più pericolosa. 


Era solo una questione di tempo. Prima o poi l’odio cosmico che Lars Von Trier nutre nei confronti dell’umanità – sé stesso compreso – si sarebbe risolto in un benservito cinematografico raccontato in pompa magna, come solo lui sa fare. Evidentemente la catarsi emotiva suscitata dal suo precedente lavoro non è bastata ad esorcizzare i suoi fantasmi, ma ben vengano ossessioni, paure e tormenti se il risultato finale è poi questo. Ecco dunque che, dopo essere stato presentata al Festival di Cannes (accompagnata dallo scandalo che tutti noi conosciamo), Melancholia arriva nelle nostre sale, proseguendo un’ideale strada inaugurata con il controverso e al tempo stesso splendido Antichrist e ponendosi nei suoi confronti come la parte pura di un ipotetico “yin yang”, il cui tema portante è proprio la perdita di ogni speranza e il totale abbandono nei confronti di una natura che, volenti e nolenti, e sempre un passo avanti noi. 

Nel raccontare la sua fine del mondo Lars Von Trier ha orchestrato un’opera che, riprendendo quelle vecchie abitudini tanto care ai suoi fan, è scandita in atti (due questa volta, quasi ad evidenziare ulteriormente quel tema del doppio a cui ci si riferiva pocanzi) ed è introdotta da un incipit che, inutile dirlo, è un inno alla settima arte, accompagnato dalle musiche del Tristano e Isotta di Wagner e scandito attraverso immagini che, pur discostandosi in maniera decisa dai dettami del Dogma 95, si stampano in maniera indelebile nelle nostre teste. 

Il resto è la narrazione della fine di tutto ciò che ci circonda, vissuta attraverso la storia di due sorelle (Kirsten Dunst e Charlotte Gainsbourg, impossibile capire chi delle due sia più brava) e filtrata attraverso lo sguardo di Lars Von Trier, che per l’occasione ci offre una visione più benevola – per quanto il termine si possa adattare a questo regista – e decisamente meno misogina del suo mondo. 

Questo mettendo da parte la benché minima speranza e dando vita ad una profonda riflessione sull’amore (impossibile), sontuosa come una sinfonia e splendida come solo un’opera d’arte sa essere.

Pubblicato su ScreenWEEK

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